Nella sua 53° edizione il rapporto Censis dipinge gli italiani del 2019 come ansiosi, in preda alle incertezze e dominati dalla paura del lavoro precario o disoccupazione. Un popolo indifferente alla politica. Ma pieno di micro-passioni personali, tra cui lo sport, la compagnia di animali, la cultura e che fa del volontariato e dell’attivismo ambientale un modo per raggiungere la soddisfazione personale.
Ansia e Psicofarmaci
Non proprio radicalmente pessimisti (lo è il 17%), ma neanche ottimisti (14%): gli italiani guardano al futuro soprattutto con grande incertezza (69%). Dato legato principalmente alla rinuncia di due pilastri storici della sicurezza: il mercato immobiliare e i Bot.
Un aiuto consistente viene, purtroppo, da sedativi ed ansiolitici per combattere sia lo stress (è stressato il 74% degli italiani) che una ben più grave sindrome da stress post-traumatico: il consumo di psicofarmaci è aumentato in tre anni del 26%, e ne fanno uso ben 4,4 milioni di persone. È venuta meno la fiducia negli altri (75%), ma è vero anche che il 49% degli italiani ha subito nell’ultimo anno una prepotenza in luogo pubblico e il 44% si sente insicuro nelle strade che frequenta.
Lavoro e Espatrii
Come sottolinea il Censis il vero, grande, problema degli italiani resta il lavoro: ne è preoccupato il 44% (più del doppio della media europea), due volte più degli immigrati (22%) e cinque-sei volte della crisi climatica (8%). L’istituto si focalizza su un paradosso: rispetto al 2017, gli occupati aumentano. Ma a crescere sono solamente, di 1,2 milioni, quelli a tempo parziale, tanto che tra il 2007 e il 2018 il part time è aumentato del 38%. Calano dunque le ore complessive di lavoro (2,3 miliardi rispetto al 2007) e anche le retribuzioni (del 3,8%). Ci cono quasi 3 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro all’ora, specie tra giovani e operai. E 2 milioni di lavoratori dipendenti che possono contare solo su 79 giornate retribuite all’anno. I giovani sono sempre di meno eppure non trovano lavoro.
Dal 2015 si contano 436.066 cittadini in meno. Calano le nascite, sia tra gli italiani che tra gli stranieri, e aumentano gli espatri, con numeri impressionanti: più 400.000 cittadini tra i 18 e i 39 hanno lasciato l’Italia in un decennio.
Politica
Meno di un italiano su 5 parla di politica quando è in compagnia, il 76% non ha fiducia nei partiti (81% tra gli operai e l’89% tra i disoccupati). La sfiducia genera (per il 48% degli italiani) il desiderio di un «uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai). Inoltre, il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia. Le persone guardano molta politica in tv, ma “come se fosse una fiction”, tanto che nelle urne l’astensione continua a crescere, dal 9,6% del 1958 al 29,4% nel 2018.
La vita privata
Le relazioni di senso, per gli italiani, non sono più nel pubblico né nel proprio lavoro. Oggi la vita “vera” si trova soprattutto nelle 4 ore e 54 minuti di tempo libero al giorno, di cui gli italiani sono soddisfatti. Cresce non a caso la spesa per attività ricreative e culturali (71,5 miliardi di euro), cresce il volontariato (più 19,7% negli ultimi dieci anni), cresce lo sport: sono ben 20,7 milioni le persone che praticano attività sportive. Importante nella ricerca di senso sono sia la cura di animali – ci sono oltre 7 milioni di cani e di gatti (il 38,8% delle famiglie ne possiede uno) – ma anche il recupero di pratiche che affondano nell’antica dimensione comunitaria, come le sagre.
In conclusione, “Incompiuto” è il termine con cui il Rapporto definisce il decennio che si chiude. E l’accusa è soprattutto alla politica, incapace di riforme strutturali sempre annunciate “ma mai concretamente avviate”, si legge nelle Considerazioni generali. Dalla scuola alla giustizia, dalla sanità alle infrastrutture o ai servizi idrici, lo scenario “è affollato di non decisioni”. Nonostante ciò, esiste ancora la possibilità di rinnovamento e nuovo sviluppo. Ci sono infatti motivi di relativa speranza: il nostro sistema produttivo manufatturiero e industriale, il consolidamento strutturale di alcune aree geografiche, la nuova sensibilità ai problemi del clima e della tutela di ambiente e del territorio, di nuovo la dimensione europea. E poi, anche se in misura minore, la fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative, i festival e gli eventi culturali di ogni genere, segmenti produttivi ad alta tecnologia o sapienza artigianale dove l’Italia ha un primato.