Per molte persone il genere “spy movie” evoca l’immagine di completi eleganti, macchine veloci, gadget futuristici… in poche parole: James Bond. Per più di mezzo secolo l’agente 007 ha dominato il genere, diventando icona e sinonimo di quello che nel nostro immaginario è l’Agente Segreto. Nato dalla penna di Ian Fleming, ragazzo ricco e problematico, sciatore e alpinista, giornalista e stratega militare durante la seconda Guerra Mondiale, viaggiatore e infine talentuoso scrittore. E’ stato infatti, dal 1953 che Fleming, ritiratosi nella sua tenuta giamaicana, decide di dedicare quello che resta della sua vita alla scrittura. Pubblicherà così 12 romanzi e due raccolte di racconti brevi, fino al 1964, anno della sua morte.
Molti sono i tratti in comune tra i due personaggi: l’alta figura atletica, il viso dai tratti duri e aristocratici che non escludono una virile bellezza, l’abilità negli sport montani e acquatici, il vizio per il fumo e l’alcool, la passione per le auto sportive, nonché l’attrazione costante per le donne. Ma non solo, lo scrittore utilizzò nella saga dell’agente segreto più famoso del mondo molti episodi della sua vita, oltre naturalmente alla sua esperienza di spia. Il personaggio, come il suo autore, sarà cacciato da Eton e perderà da molto giovane il padre. Possiamo dunque affermare che James Bond è nato come la proiezione da un lato delle difficoltà sperimentate nel corso della propria esistenza e dall’altro di un desiderio di vita in un qualche modo represso dai doveri sociali.
Nel 1962 due produttori inglesi, allora semisconosciuti, Harry Saltzman e Albert Broccoli, decisero di trarre una serie di film da questi romanzi. Il primo volto dato alla spia fu quello di un giovane attore scozzese: Sean Connery. Mai scelta si rivelò più azzeccata. Connery era perfetto per il ruolo, sia dal punto di vista fisico che caratteriale. Astuto, elegante, freddo, seducente. Da quel momento in poi tanti sono stati gli attori che ne hanno indossato lo smoking: George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig (che, a sorpresa, tornerà per un’ultima volta nel James Bond numero 25, nelle sale da novembre 2019 diretto da Danny Boyle).
I primi film della serie hanno molti (troppi!) tratti in comune. Racconti sempre più uguali a loro stessi, situazioni ripetitive e personaggi eccessivamente stereotipati e appiattiti. In ogni film viene cambiato qualche ingrediente, ma alla fine il sapore è quasi sempre lo stesso: cospirazioni globali e cattivi che ambiscono al dominio del mondo. A salvare la situazione ci pensa “l’agente con licenza doppio zero” che dall’alto della sua superiorità riesce a sormontare in scioltezza qualsivoglia insidia mortale, contornato da splendide donne, le Bond girls, sempre in abito da sera o in costume da bagno, atletiche, bionde, abbronzate e incapaci di resistere al suo fascino.
A partire dagli anni 2000 però qualcosa cambia: la platea si fa più esigente, più smaliziata, diventa specchio di una società in continua evoluzione. Così i produttori iniziano ad interrogarsi sui tratti di una figura, che sembra essere sempre più inadeguata, fuori luogo e poco credibile. Finchè, nel 2006 si assiste alla rinascita di Bond.
Quello che viene messo in scena è un percorso di “umanizzazione”: l’eroe sanguina, è slegato da vecchi paradigmi, pur non perdendo i tratti distintivi dell’icona. Vediamo un personaggio rinnovato, anche grazie al suo interprete, Daniel Craig che mette in scena un uomo dalla personalità complessa e tormentata, a tratti un anti-eroe. Un aspetto più simile a uno dei cattivi, lineamenti duri, un atteggiamento rude, quasi rozzo, fisico massiccio e muscoloso, capelli biondi e occhi chiari. Un Bond più intrigante e psicologicamente complesso. Anche i gadget, elemento fondamentale nel passato, sono completamente spariti in quanto ciò che era futuristico ai tempi dei primi film è oggi di uso quotidiano. In scena vediamo una battaglia combattuta contro i propri fantasmi, più per salvare e ritrovare sé stesso che per salvare il mondo.
Assistiamo, finalmente, anche ad un’evoluzione delle figure femminili che non sono più solo “girls” ma assumono ruoli centrali all’interno della narrazione e, in alcuni casi, diventano vere e proprie “lady” (vedi Monica Bellucci nell’ultimo Spectre). Un esempio su tutti è il personaggio di Vesper Lynd (Eva Green), ispirata a Muriel Wrigh, amante di Ian Fleming, tragicamente morta in un bombardamento durante la guerra. Donna bellissima, affascinante, intelligente quanto e più di Bond che finirà con l’innamorarsi ciecamente di lei che invece, ne tradirà la fiducia. O ancora, l’intenso rapporto tra il James orfano e la “M” (Judi Dench), direttore dell’ MI6, nella quale vede la madre che non ha mai avuto.
Nonostante le sue continue evoluzioni, la fortuna del personaggio creato da Fleming continua e probabilmente non si spegnerà mai. La “spy life” non perderà la sua aura in quanto chiunque, dal più grande al più piccino, ha sognato almeno una volta di trasformarsi, anche solo all’interno della sala cinematografica, in una spia infallibile in grado di vivere fantastiche e adrenaliniche missioni impossibili.