Un italiano su quattro assume psicofarmaci per superare sindromi depressive: sono 11 milioni di pazienti, il 20% della popolazione attiva e non attiva, una cifra impressionante che surclassa la percentuale planetaria, certificata al 4,4% dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
I dati elaborati dall’Agenzia per il farmaco e le indagini condotte dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa rendono conto di un’emergenza psiche che investe il nostro Paese molto più che altre nazioni sviluppate. Nel quarantennale della promulgazione della legge Basaglia, è una doccia fredda lo stato della salute psichica degli italiani, abbandonati dalle istituzioni, che non offrono terapie a basso costo emesse dal SSN né potenziano il personale e la disponibilità dei centri psicosociali di zona.
Il mancato intervento del nostro sistema sanitario approfondisce il clamoroso disagio esistenziale e mentale, che la popolazione accusa con percentuali preoccupanti, poiché gli italiani ancora resistono all’idea di intraprendere una terapia in privato (il 50% dei diagnosticati con depressione maggiore non ritiene che l’intervento terapeutico possa portare a sollievo o risoluzione della patologia), oppure non dispongono delle risorse economiche per farsi aiutare.
«Nel 2030 la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva», scrive Luca Pani, già direttore dell’Agenzia per il farmaco. In Italia sono state consumate nel 2015 circa 34 milioni di confezioni di psicofarmaci e la spesa annuale ha raggiunto gli 800 milioni di euro.
A completare il quadro, profondamente dissestato, interviene l’offerta di terapie ingannevoli o inadeguate a fare fronte a sindromi clinicamente impegnative. Bisogna partire dal dato che un medico di base, su una media di 1500 assistiti, diagnostica ogni anno da 45 a 75 pazienti clinicamente depressi, oltre a prescrivere terapie per disturbi d’ansia o sintomatologie legate a quadri clinici ancor più impegnativi, e la diagnosi corretta è formulata nel 40% dei casi, tra i quali soltanto la metà ottiene un trattamento all’altezza.
Rivolgersi a terapeuti formati e abili è sempre più difficile, vista la sovrabbondanza dell’offerta di terapie alternative o incapaci di fornire un aiuto rigoroso ed efficace. La deflagrazione di professioni d’aiuto, includendo anche consulenze condotte da operatori non formatisi con cicli scolastici e di avviamento professionale d’eccellenza, implica che moltissimi pazienti siano abbandonati a rimedi posticci o francamente inadeguati.
Per rispondere alla diffusione e alla profondità raggiunte dalla questione dei disturbi mentali in Italia, la risposta non può che essere una formazione approfondita dei futuri terapeuti. Tra le 370 scuole e facoltà di psicologia, è necessario informarsi e scegliere oculatamente – lo psicologo è uno dei mestieri destinati ad assumere un peso decisivo, nell’intervento sulle antropologie che attraverseranno i ciclopici mutamenti a cui la società digitale sta destinando le collettività.