La professione sanitaria più richiesta dal mercato del lavoro sono gli infermieri, secondo l’indagine Censis 2016. Il corso di laurea e la specializzazione sanitaria con il tasso più elevato di occupati risulta anzitutto quello relativo all’infermieristica. Gli infermieri occupati in Italia sono oltre 430mila, ma l’Unione Europea ne richiede da subito 18mila in più, per rispettare i riposi obbligatori di 11 ore.
Per definire il mercato professionale degli infermieri specializzati, bisogna tenere presente che solo nel 2016 venivano valutati in quasi 13 milioni gli italiani che erano ricorsi a prestazioni infermieristiche, erogate da ospedali e ambulatori. I dati segnalano un’impennata tenendo presenti gli interventi svolti nel privato. La spesa assoluta ammonta a circa 6.2 miliardi di euro. Oltre a coloro che hanno pagato per prestazioni professionali, ci sono coloro che, scontando difficoltà economiche, si sono rivolti a personale non infermieristico, prevalentemente badanti e parenti, con gravi problemi di aggravamento degli assistiti. Per fare fronte a questo sommerso, una delle soluzioni prospettate dai rapporti sul lavoro sanitario consiste nell’istituzione della figura dell’infermiere convenzionato sul territorio, in analogia con quella del medico di base, come richiede il 54% degli italiani rilevati, i quali non a caso testimoniano nell’indagine Censis di un indice di fiducia elevato, per quanto riguarda l’addetto infermieristico (quasi l’85%), con punte apicali se si considerano gli utenti over 65 (90%).
Il fabbisogno calcolato consiste in 450mila infermieri attivi in tutto il Paese, ma cresce in termini di unità assolute se si calcolano ulteriori parametri, come l’aumento della domanda legato alle patologie croniche, alla non autosufficienza e all’invecchiamento della popolazione. In questo caso la domanda di infermieri professionisti cresce sempre di più, passando dalle circa 47mila alle 60mila. Nel complesso la quota di lavoro precario tra gli infermieri è nettamente inferiore rispetto alle altre professioni: il 6,1% contro il 15,9%. C’è tuttavia un elemento da notare: tra gli infermieri l’occupazione femminile prevale su quella maschile, ma è anche decisamente più precaria.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Almalaurea per le professioni infermieristiche e ostetriche, il tasso di occupazione a un anno dal titolo è di circa il 70%, con una retribuzione netta mensile di 1.308 euro. La maggioranza dei nuovi infermieri ha trovato un impiego completando solamente il primo ciclo di studi, ovvero la laurea triennale, anche senza conseguire una laurea magistrale o un master di primo livello. L’1,4% degli infermieri rilevati risulta lavorare e al contempo frequentare un corso magistrale. I numeri dell’anagrafe effettuata dal Miur confermano la tendenza, evidenziando che nell’anno accademico 2015-16 sono risultati 17mila gli iscritti al primo anno di laurea triennale, mentre erano 1.038 gli iscritti al primo anno di specialistica, così come i laureati, che raggiungono quota 13mila iscritti alla triennale, ma si situano al di sotto della soglia dei mille iscritti alla laurea magistrale. Si apprezzano differenze importanti, tra laureati triennali e magistrali, anche a livello di retribuzione, se a un anno dal titolo un laureato triennale viene appunto retribuito in media con 1.308 euro, mentre un laureato magistrale percepisce in media 1.529 euro.
Quanto ai settori degli sbocchi occupazionali, si segnala che il 75% degli infermieri risulta attivo nei servizi pubblici e il restante quarto della popolazione infermieristica è occupata in studi medici o in strutture di assistenza residenziale e non residenziale. È questa comunità a risultare in forte sviluppo: la libera professione è richiesta in modo incrementale costante.
A differenza del pubblico, aumenta la richiesta per i liberi professionisti di aumentare la formazione, per rispondere a un mercato in enorme evoluzione, che richiede sempre più specializzazione. Vanno tenute infatti presenti la composizione del totale dei richiedenti e l’eterogeneità degli interventi a carattere infermieristico, così come è distribuito su territorio. Secondo l’analisi Censis, si sono rivolti privatamente a un infermiere, pagando di tasca propria, il 24,7% dei cittadini del Nord-ovest, il 16,9% del Nord-Est, il 19,2% del Centro ed il 32,8% del Sud-isole. È elevata la domanda di prestazioni che proviene da famiglie con un soggetto non autosufficiente a carico (più che 900mila), ma è estremamente diffusa la domanda di intervento infermieristico di natura pediatrica (2.5 milioni di famiglie con minori, tra le quali più di 720mila con bimbi fino a tre anni). È estremamente strutturata la tipologia delle prestazioni richieste: prelievi (31.5%), iniezioni (23.5%), assistenza in generale (15.4%), misurazione e registrazione di parametri e valori vitali (14.3%), medicazioni e bendaggi (13.5%), flebo, infusioni, perfusioni (13.4%), assistenza notturna (4.3%).
Il boom di mercato professionale per infermieri specializzati va letto non soltanto in chiave nazionale, ma europea. Una ricerca dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha riportato che nel 2015 in Europa la media di infermieri attivi ogni mille abitanti raggiungeva un indice di 9.0, mentre in Italia consisteva nel 5.4. Nel corso del 2016 ha deciso di lavorare come infermiere nell’Unione Europea il 17% dei laureati, con una netta prevalenza per il Regno Unito, che si assesta a più del 90%, poiché in Gran Bretagna sono maggioritarie (più del 97%) le chance lavorative nel settore pubblico, con contratti a tempo indeterminato (oltre il 94%).