Carriere femminili nel sistema universitario italiano

da | Mar 19, 2019 | Attualità

Per quanto riguarda la formazione universitaria in Italia, da anni le donne rappresentano in modo stabile oltre il 50% della popolazione di riferimento a tutti i livelli: il 55,5% degli iscritti ai corsi di laurea; il 57,6% del totale dei laureati; il 50% degli iscritti a corsi di dottorato ed il 51,8% del totale dei dottori di ricerca.

Tuttavia, il passaggio successivo dalla formazione universitaria alla carriera accademica mostra che la presenza femminile tende a diminuire con il salire della scala gerarchica. Nel 2017, la percentuale di donne tra i titolari di assegni di ricerca (Grade D) era del 50,3%; quella tra i ricercatori universitari (Grade C) il 46,6%; tra i professori associati (Grade B) il 37,5% e tra i professori ordinari (Grade A) solo il 23%.

Il Grafico 1, proposto nella pubblicazione triennale “She Figures” della Commissione Europea, mette a confronto questi dati, con riferimento a due anni diversi, per sottolineare alcuni fenomeni sul gender equality già ben noti nell’ambito degli studi:

  • poche donne raggiungono i massimi vertici della carriera accademica, sintomo di una segregazione verticale della carriera delle donne;
  • esiste un cosiddetto “glass ceiling” (soffitto di cristallo), una  sorta di barriera invisibile che non permette alle donne di accedere alle posizioni apicali per motivi difficili da individuare;
  • la progressiva uscita delle donne dal possibile percorso accademico una volta terminata la propria formazione universitaria, chiamata “leaky pipeline“.

Il semplice confronto tra il 2005 e il 2017 mostra pur sì un lieve cambiamento in positivo per le donne, ma non sufficiente a modificare il trend generale in modo significativo, con solo +6 punti percentuali per quanto riguarda il Grade A. Caratteristiche, per altro, che è possibile riscontrare in tutti i Paesi dell’Unione Europea, e non solo in Italia.

La distribuzione per genere e campo di studio sottolinea che l’area di studio scelto da uomini e donne non è neutra. Se infatti nell’anno accademico 2017/’18 le studentesse rappresentavano oltre la metà (55,5%) degli 1.659.855 iscritti complessivi ai corsi di laurea, lo stesso non valeva per i diversi ambiti: con un picco nell’area “Humanities and the Arts” (77,6%), la presenza femminile cala notevolmente negli ambiti più tecnici o scientifici, il 48,1% nell’area “Agricultural and Veterinary Sciences”, raggiungendo i livelli più bassi nell’area “Engineering and Technology” con solo il 27,4%.

Considerazioni simili si possono sottolineare relativamente alla distribuzione delle laureate per settore di studi: nel 2017, il 57,6% dei 317.792 laureati sono donne, ma anche in questo caso se nell’area “Humanities and the Arts” raggiungono il 79,5%, nell’area “Engineering and Technology” si fermano al 30,9%. È comunque da evidenziare che in tutti gli ambiti di studio, incluso quello ingegneristico e tecnologico, il numero delle laureate donne rispetto agli uomini è in percentuale superiore a quello delle iscritte. Ciò può solo indicare un probabile maggiore successo delle studentesse di sesso femminile rispetto a quello degli studenti maschi nel completamento della propria formazione universitaria.

I dati su iscritti e laureati fanno quindi emergere una segregazione orizzontale che sta ad indicare una permanenza di stereotipi sociali e culturali che spingono ancora donne e uomini a optare per percorsi formativi tradizionali e considerati “di genere”. Una tendenza analoga si può osservare anche per quanto riguarda i corsi di dottorato.

Nell’anno accademico 2016/’17, secondo i dati forniti da Eurostat, si può notare che su 32.947 iscritti a corsi di dottorato, le dottorande sono un po’ più della metà sia in totale (50,6%) che nella gran parte degli ambiti. Nell’area “Medical and Health Sciences”, le dottorande arrivano persino ad essere i 2/3 degli studenti totali, con il 66,1%,  mentre diminuiscono a meno della metà nell’area “Natural Sciences” con il 48,3% e ad appena 1/3 nell’area “Engineering and Technology” con il 34,6%.

Nel 2016, su 9.803 studenti che hanno conseguito il dottorato di ricerca, il 51,8% sono donne che si distribuiscono per aree di studio in modo simile alle dottorande: dal 64,3% nell’area “Medical and Health Sciences” al 34,7% nell’area “Engineering and Technology”.

Nel 2016, nei 28 paesi dell’Unione Europea, mediamente il 48% degli studenti che consegue il titolo di dottore di ricerca è di genere femminile. Tra i dottori di ricerca che afferiscono alle aree
STEM (Natural Sciences; Mathematics and Statistics; Information and Communication Technologies; Engineering, Manufacturing and Construction) le donne sono il 39%.

L’Italia consegue risultati superiori alla media europea sia per quanto riguarda la percentuale di donne che concludono con successo il percorso di dottorato di ricerca (il 52% circa), che per la buona percentuale di appartenenza delle donne ai percorsi tecnico-scientifici delle aree STEM.

Se si passa però dalla formazione universitaria alla carriera accademica, la situazione cambia totalmente. Nel 2017 le donne rappresentavano complessivamente solo il 40,2% dei 67.917 docenti e ricercatori, con importanti differenze tra i vari livelli raggiunti: se da un lato poco più della metà (50,3%) dei titolari di assegni di ricerca (Grade D) erano donne, dall’altro appena il 23% dei professori ordinari (Grade A) era di sesso femminile.

La disomogenea distribuzione delle donne negli ambiti disciplinari si ripropone fin dall’inizio della carriera accademica. Del totale dei beneficiari di un assegno di ricerca nell’ambito “Medical and Health Sciences”, le donne sono oltre il 70%, mentre crollano a poco meno di un terzo (32,5%) nell’area “Engineering and technology”.

Una situazione molto simile è possibile riscontrarla anche per le ricercatrici a tempo determinato di tipo A e B, figure introdotte dalla Legge 240/2010: più della metà del totale nell’area “Humanities and the Arts” (rispettivamente  il 52,9% e il 51,5%), ma meno del 30% nell’ambito “Engineering and Technology” (rispettivamente il 27,2% e il 28,4%).

In linea generale, la percentuale delle docenti e delle ricercatrici nelle aree STEM è bassa a tutti i livelli di carriera (36% in totale) ed in particolar modo al livello più alto: la quota di donne in quelle che vengono considerate “scienze dure” supera il 40% nei Grade D e C (rispettivamente il 41% e il 43%) ma si riduce al solo 19% nel Grade A.

Come nel Grafico 1 visto precedentemente, il Grafico 8 confronta le carriere femminili e maschili in ambito accademico esclusivamente per le aree STEM, negli anni 2005 e 2017. È possibile osservare immediatamente che non si ripropone più l’andamento a forbice, infatti in questi ambiti per tutte le tappe della carriera la percentuale di donne è sempre al di sotto del 50%, anche se con significative differenze tra i vari livelli. Nell’arco temporale preso in considerazione,  si sottolinea in ogni caso un aumento delle donne nelle aree STEM sia nel Grade B (con +5 punti percentuali) che nel Grade A (con +6 punti percentuali).

Altro metro di misura utilizzato per controllare e valutare le probabilità delle donne di raggiungere le qualifiche più elevate nella carriera accademica rispetto agli uomini, è il Glass Ceiling Index (GCI): trattasi di un indice definito e approvato a livello internazionale, usato dalla Commissione Europea nella pubblicazione triennale “She Figures”. Questo indice è dato dal rapporto di due quote: quella delle donne ormai stabilmente presenti nel mondo accademico ai livelli più alti (Grade A, B e C) e quella delle donne presenti nel Grade A.

L’indice del CGI assume un valore pari ad 1 se si presenta una perfetta parità di genere nel Grade A; più i valori sono superiori ad 1 più le donne sono sottorappresentate. Il valore del CGI rispetto all’anno 2017 in Italia è di 1,63. L’indice presenta un trend decrescente nel tempo e si mantiene costantemente al di sotto della media europea fino al 2013, allineandosi successivamente a essa. In generale questo evidenzia una situazione più favorevole per le ricercatrici e le docenti italiane rispetto alle colleghe europee, nonostante la tendenza alla decrescita del CGI sia riscontrabile anche a livello europeo. È evidente in ogni caso che occorrerà ancora diverso tempo prima di poter raggiungere una situazione di vera e completa parità di genere.