Ieri, mentre tutti i quotidiani sfoggiavano in prima pagina le terrificanti immagini di Notre-Dame in fiamme, della guglia infuocata che crollava, quasi come un simbolo della nostra civiltà sempre più in bilico sulla lama di un rasoio, un altro articolo di natura completamente diversa, eppure in un certo senso dallo stesso retrogusto apocalittico, ha attirato la mia attenzione.
«Quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di…» Iniziava così l’articolo, con questa frase riportata in seguito all’ennesimo episodio di bullismo razzista. E se da un lato essendo appunto l’ennesimo, avrebbe dovuto scandalizzarmi ma non stupirmi, quel “quando saremo grandi” è stata una pugnalata al cuore particolarmente sanguinosa.
Il bersaglio dell’episodio, avvenuto in una scuola media di Ferrara, era un bambino ebreo, aggredito sia fisicamente che verbalmente nella palestra da un gruppo di suoi compagni di classe. Non sono passati così tanti anni da quando ero adolescente e ricordo in che termini utilizzavamo noi quel “quando saremo grandi”: esprimevamo sogni lavorativi o personali, speranze di un futuro più felice, interessante o avventuroso di quello che potevamo vivere da bambini. Era un’espressione che utilizzavamo per comunicare i nostri sogni.
Fa rabbrividire quindi immaginare che una generazione nata e cresciuta in tempi moderni, di globalizzazione, in cui convivere con idee, religioni, etnie diverse dovrebbe essere non solo la norma, ma considerata una fortuna, possa sognare un futuro in cui venga riaperto Auschwitz. Sintomo, senza ombra di dubbio, del clima di costante paura e tensione sociale che mondo politico e mass media non hanno finora certo aiutato a placare.
Pronta ovviamente la denuncia da parte della rappresentante di classe: «È inaccettabile che accadano simili episodi. Non si può far passare sotto silenzio questo chiaro segnale di antisemitismo strisciante». Immediato anche l’intervento della dirigente scolastica, che ha ricevuto la rappresentante e la madre della vittima dell’aggressione per decidere i provvedimenti nei confronti dei “bulli”.
La rappresentante, che ha immediatamente contattato Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Andrea Pesaro, guida della comunità ebraica ferrarese, e Luciano Meir Caro, rabbino capo della comunità ebraica estense, prosegue: «Questa aggressione è una preoccupante cartina di tornasole del clima di latente antisemitismo che aleggia anche nelle scuole. Un abisso verso cui ci stiamo calando tutti. Mi spaventa ancora di più perché questo sentimento di odio evidentemente alberga anche tra i bambini».
E così, mentre va a fuoco Notre-Dame, una cattedrale che era sopravvissuta indenne ad entrambe le Guerre Mondiali, all’olocauso, all’assedio di Parigi da parte dei nazisti, una nuova generazione “inistruita” alla Memoria, alla civiltà, al rispetto per ciò che è altro e diverso da sé, cresce indisturbata, alimentata da politiche di paura, dall’odio ignorante, dall’abitudine alla violenza e dal predominio dell’io su chiunque e su qualunque valore. Un incendio che è al contempo molto difficile e estremamente importante domare.