Che le aziende italiane abbiano un “disperato” bisogno di profili Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematic) è ormai assodato, ma lo è diventato anche il paradosso (non solo italiano) che ne consegue: seppure questi profili siano i più richiesti, sono anche quelli più difficili da trovare.
Recentemente, a Milano, si è tenuto il Recruiting Day #Melomerito, organizzato da Employerland, giovane società che si occupa di Recruiting e di Employer Branding, a cui hanno partecipato circa 300 ragazzi che hanno potuto interfacciarsi con i selezionatori di grandi aziende come TIM, Pirelli, Lamborghini ed Oracle.
Un chiaro campanello d’allarme le parole di Gabriele Lizzani, numero uno della start up Employerland, che auspica un rapido cambiamento fin dalle scuole: «I fabbisogni sono tantissimi e i ruoli professionali cambiano rapidamente. Il gap da colmare è arduo e sul tema donne e tecnologia c’è ancora tantissimo da fare».
Anche il talent acquisition di Pirelli, Luca Gagliardelli, ha sottolineato l’estrema importanza per l’azienda della curiosità verso «le nuove tendenze del digitale» da parte dei ragazzi, oltre che delle competenze e della capacità d’uso di «piattaforme e linguaggi di programmazione».
Rossella Consonni, HR business partner di Oracle, prevede per i prossimi anni la mancanza di circa un milione di competenze nel digitale. Un problema, come si è detto, che non coinvolge solo l’Italia, ma tutta l’Europa: è indispensabile ridurre il gap con il resto del mondo, in modo particolare con gli Stati Uniti, dove risiedono le più grandi società tech come Apple e Google.
A confermare ulteriormente questo trend è ora arrivata la “certificazione” dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che lancia l’allarme attraverso l’ultimo report Skills Outlook 2019: «La popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in società sia sul posto di lavoro».
I dati forniti dal report sono a dir poco sconfortanti: della popolazione italiana, solo il 21% tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo, come verificato dalla capacità di ottenere un punteggio almeno di livello 3 nei test PIAAC; mentre solo il 36% è in grado di utilizzare Internet in modalità complessa e diversificata. Tra tutti i paesi OCSE per cui il dato è disponibile, stiamo parlando del livello più basso in assoluto.
La situazione non è di certo migliore nel mondo del lavoro. Le risorse ICT vengono utilizzate, ma con un’intensità molto inferiore ad altre nazioni OCSE: ben il 13,8% dei nostri lavoratori occupa posizioni ad alto rischio di automazione, contro la media degli altri Paesi che si aggira sul 10,9%, e necessita perciò di una formazione piuttosto lunga prima di essere nelle condizioni di passare ad occupazioni con rischio minore, mentre un buon ulteriore 4,2% necessiterebbe di una formazione ancora più lunga, fino anche a tre anni.
«Nel nostro mondo in rapida digitalizzazione i governi dovranno trovare il giusto equilibrio tra le politiche che promuovono la flessibilità, la mobilità del lavoro e la stabilità del lavoro – dice Angel Gurría, segretario generale dell’OCSE – Le imprese hanno anche un ruolo chiave da svolgere nel miglioramento e nella riqualificazione, adattandosi alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro. Migliorando i nostri sistemi di competenze, possiamo essere certi di avere una vita migliore per tutti».