Nonostante purtroppo l’Italia sia tra i Paesi con la minor partecipazione culturale in Europa, negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento tangibile di interesse nei confronti di alcuni siti di patrimonio e musei, in grado di attirare masse di visitatori sempre più consistenti, non soltanto dall’estero ma anche dall’Italia e, sempre più spesso, dagli stessi contesti locali.
Per esempio, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli sta attraversando un periodo di grande attenzione, grazie allo strepitoso successo della mostra dedicata ad Antonio Canova, che soltanto nel primo mese ha raggiunto i 110 mila visitatori. Eppure questo è soltanto l’ultimo di una serie di casi che si allunga costantemente.
Sorge quindi il sospetto che i livelli di partecipazione culturale italiani non sia tanto dovuta ad uno scarso interesse, quanto piuttosto ad un’incapacità storica di coinvolgimento che sta venendo pian piano superata grazie alla riforma che ha portato all’autonomia organizzativo-gestionale di alcuni dei principali musei e poli museali del Paese.
Inevitabile dunque chiedersi in quale misura sia la Comunicazione dei musei a contribuire ad una sempre maggiore capacità attrattiva sul grande pubblico e, in particolar modo, quale possa essere il ruolo delle digital strategy nel coinvolgimento e nel consolidamento di nuove platee rispetto a quelle più tradizionali.
Proprio per rispondere a questa domanda, Pier Luigi Sacco, docente IULM, e Claudio Calveri, digital strategist di DeRev, hanno condotto una ricerca sulle attività di comunicazione digitale di tutto il 2017 associate a 10 dei musei che possono vantare le community più attive e partecipative sulla piattaforma Facebook: “Musei e Social Media – Sviluppo dell’interazione museo-utente”.
Un primo elemento che spicca dallo studio, e che non fa altro che confermare un trend già riscontrato in numerosi altri contesti, è la prevalenza dell’elemento visuale. Per quanto riguarda l’efficacia dei formati, infatti, sono sicuramente i video a stimolare maggiormente il pubblico, con un’interazione che addirittura doppia quello della media generale degli altri post. Anche per quanto riguarda le immagini si è riscontrato un’efficacia superiore alla media nella stimolazione degli utenti.
Un secondo fattore d’interesse è il successo di tutti quei contenuti con una forte valenza motivante per quanto riguarda le conoscenze utili per un maggiore apprezzamento durante la visita. Infatti, i post “divulgativi” che fornivano spiegazioni o illustrazioni aggiuntive relative al patrimonio culturale promosso, hanno riscontrato risultati migliori. Un dato che sembrerebbe sfatare il falso mito dello scarso interesse del pubblico verso quelle forme di comunicazione “impegnative” da un punto di vista di attenzione e concentrazione.
Terzo elemento da sottolineare è il coinvolgimento proattivo che si è generato attraverso i riferimenti al contesto locale e territoriale (ovviamente in modo particolare con quelli visuali), i quali hanno risvegliato la consapevolezza degli utenti dell’identità territoriale e della sua ricchezza culturale. Fondamentali così diventano anche gli user-generated-content, ovvero i contenuti prodotti dagli utenti stessi e condivisi sui social, che risultano particolarmente apprezzati e che è importante evidenziare e rilanciare per coltivare un coinvolgimento sempre maggiore.
In conclusione, secondo lo studio svolto, i social media evolvono rispetto alla funzione che gli viene assegnata tradizionalmente, quando utilizzati da organizzazioni culturali e i musei. Da semplice e mera comunicazione, il loro uso di innalza a guida al valore del patrimonio, trasformandoli in qualche modo anche in efficacissimi formatori, divulgatori, diffusori culturali. A riprova del fatto che uno spazio per politiche di comunicazione più inclusive e coinvolgenti non solo esista già, ma che possa anche produrre risultati di rilievo.
Essenziale però resta la sfida che questa ricerca lancia: riuscire ad estendere queste possibilità anche alle realtà museali più piccole e al patrimonio “minore”, ovvero dove c’è un maggior rischio dal punto di vista della tutela e dove serve puntare maggiormente i riflettori della consapevolezza della nostra società e delle nostre istituzioni.
Per poter consultare la ricerca completa svolta dal prof. Sacco e dal dott. Calveri, clicca qui.