E se i cartellini da timbrare, le scrivanie fisse, le sale riunioni, gli orari di lavoro e tutte le classiche regole per i dipendenti diventassero solo un ricordo? Non è così improbabile quanto potrebbe sembrare, infatti lo studio presentato da IDC (International Data Corporation), il 24 e il 25 giugno ad un summit a Francoforte, appare proprio come un necrologio per l’ufficio e il lavoro tradizionale. Il vecchio sembra destinato a lasciare il posto al nuovo, cioè all’intelligenza artificiale e al digitale, destinato a trasformare così tanto il lavoro da costringere le aziende a trovare nuovi modi per impiegare e misurare al meglio i propri dipendenti, in spazi non convenzionali.
A quanto dice la ricerca di IDC, entro il 2021 il 60% delle aziende Global 2000, ovvero le più grandi quotate al mondo, si sposterà verso il cosiddetto “Future WorkSpace”, cioè un nuovo concetto di spazio di lavoro capace di perfezionare l’esperienza e la produttività dei dipendenti in un ambiente fisico e virtuale più flessibile, collaborativo e intelligente. Uno spazio lavorativo non più statico o con orari prestabiliti, ma ovunque e in qualsiasi momento, su ogni device, sfruttando quindi anche le inclinazioni dei Millennials e dei nativi digitali. In una sola parola: agile.
In questa inevitabile – ma anche auspicabile – Digital Transformation, il peso dell’intelligenza artificiale sarà decisivo: se infatti tutte queste nuove tecnologie ad oggi sono perlopiù utilizzate per ottimizzare il consumo delle risorse nelle aziende (dalla luce all’aria condizionata, tanto per fare un esempio), saranno indispensabili per coadiuvare i dipendenti e aumentare la produttività anche nuovi strumenti intelligenti come risponditori predittivi, UI vocale o sistemi di videoconferenza automatizzati.
Importante precisare, sottolinea IDC, che la trasformazione dell’ambiente di lavoro e, più in generale, della cultura del lavoro costringerà le aziende a modificare anche il proprio metodo di reclutamento e giudizio dei propri dipendenti. Dallo studio sembrerebbe che entro il 2020 almeno il 35% delle aziende sostituirà i tradizionali e obsoleti KPI con i moderni KBI (Key Behavioral Indicator) per poter misurare la collaborazione, la comunicazione, la capacità di problem solving, gli obiettivi e i risultati del proprio personale.
Ad affiancare quindi le metriche legate alla produttività, ci saranno quindi anche metriche più all’avanguardia che in passato sarebbero state considerate “soft skill” non misurabili, ma che oggi invece sono ritenute non solo importanti, ma essenziali per riuscire a raggiungere i livelli di produttività richiesti per soddisfare le necessità dei clienti. Lo studio è in linea con quanto l’Università eCampus sostiene da diverso tempo, motivo per il quale ha lanciato la Digital School con un master specifico per prepararsi alla Digital Transformation e preparare professionisti in grado di guidare le aziende in questo profondo mutamento.