Uno dei motti anarchici più famosi di sempre, nato nell’Ottocento, e attribuito dai più a Michail Bakunin, apparso poi sui muri di Parigi nel maggio del ’68, urlato durante le proteste studentesche in Italia nel ’77, appena prima degli anni di piombo, recitava: «Una risata vi seppellirà».
Un motto che sembra cucito sulla pelle del Joker di Todd Phillips e sugli strazianti primi piani di Joaquin Phoenix, fatti di denti storti, lacrime amare, dolorose risate da iena inutilmente strozzate in gola. Un motto intessuto nelle note musicali dell’islandese Hildur Guðnadóttir, che grattano e stonano con la vita di Arthur Fleck, il protagonista, miserabile tra i miserabili, reietto, calpestato metaforicamente e letteralmente da tutto e tutti.
Proprio qui sta il fascino “pericoloso” di questo Joker, proprio da qui nascono le paure di emulazioni ed esplosioni di violenza, soprattutto negli Stati Uniti, dove procurarsi un’arma automatica è troppo facile e ci si ricorda bene la strage del 2012 durante una proiezione de Il cavaliere oscuro – Il ritorno, con un altro Joker, forse persino più innocuo psicologicamente. Ma anche in Italia, tanto che in diversi cinema si è alzata la massima allerta, a partire dalla catena UCI Cinemas che ha deciso di bandire maschere e armi giocattolo dalle proprie sale.
Premesso che qualsiasi cosa ha il potenziale per esercitare un’influenza negativa su una mente fragile o squilibrata, e che questo non può spingere ad una censura dell’arte o dell’espressione, va ammesso anche che un soggetto border-line, che rifiuta o è rifiutato dal sistema e dalla società, possa riconoscersi facilmente in Arthur, trasformare il Joker in un simbolo, empatizzare con lui e giustificare le sue azioni.
Arthur Fleck è stato rinchiuso per anni in una clinica psichiatrica e non ha idea del motivo. Nonostante ora cerchi di vivere una vita normale, ha un disturbo che gli causa crisi di risa isteriche nei momenti di maggiore stress emotivo, tanto da costringerlo a portare sempre con se un biglietto che spieghi la sua condizione alle persone che lo circondano e che potrebbero altrimenti fraintendere le sue risate. Per tenere sotto controllo i propri disturbi mentali, ha bisogno di una dose massiccia di farmaci e di frequenti incontri con un’assistente sociale.
Arthur Fleck vive con la madre malata, di cui si prende cura con una rara e sospetta devozione. Lavora come clown-a-pagamento in un’agenzia di veri e propri “freak”, ma il suo sogno è di fare il comico, come il suo idolo della TV Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro.
A dare il via alla trasformazione di Arthur Fleck in Joker saranno una serie di eventi e di rivelazioni sul suo passato di cui non è mi possibile parlare di più senza rivelare troppo della trama. Eppure tutto si può riassumere con una semplice affermazione: Arthur diventa Joker perché il sistema non funziona. Ancora peggio, il sistema trasforma Arthur in Joker, a partire dal taglio di budget sull’assistenza sociale che gli impedirà di ottenere i farmaci e le cure di cui ha bisogno, dando il via ad una vera e propria escalation.
È un’esperienza complessa la visione dei 120 minuti di Joker, che suscita emozioni contrastanti e l’empatia con un personaggio tanto drammatico quanto folle e pericoloso. Un effetto che sarebbe stato impossibile senza la straordinaria e appassionata interpretazione di Joaquin Phoenix. Il film è la sua interpretazione, vive di quella, tanto da far passare in secondo piano qualsiasi altro attore presente, compreso (giusto per dire) il già citato Robert De Niro. Phoenix indossa i panni di Joker come se fossero una seconda pelle, scavando nel proprio animo, ma anche nel proprio corpo, considerando che ha perso oltre 20 kg per interpretare il ruolo. I suoi già citati primi piani, così come le inquadrature sul suo corpo rachitico che si contorce nella sua danza malata, ci fanno dimenticare di essere davanti alla finzione cinematografica: quello è Joker.
Joker non è un film da prendere alla leggera, non è un classico cinecomic, è un vero e proprio capolavoro terrificante e straordinario. Un pugno nello stomaco che si desidera ricevere, ancora e ancora, politicamente scorretto e che trasmette emozioni e pensieri negativi. Difficile, alla fine, capire dove stia il giusto e lo sbagliato, da quale parte si voglia e da quale invece si dovrebbe stare. Il messaggio è evidentemente pericoloso, facilmente travisabile e mal interpretabile, perché sì, la pellicola di Todd Philips condanna quasi esclusivamente il mondo dei ricchi, dei perbenisti, dei mass media, della società cieca e benestante, del sistema. Ci si ritrova ad essere quasi complici del Joker, del cattivo più famoso del mondo dei fumetti, provando odio per chi lo ha messo in quella situazione e godendo con lui nel vederlo vendicarsi degli abusi subiti. Si finisce la visione del film intimamente confusi, perché tornando alla realtà il nostro cervello sa di nuovo cosa è giusto, ma il nostro cuore rimane rapito dal Joker.