Con l’arrivo di Apple TV+ e di Disney+ continua a crescere il numero di servizi streaming disponibili negli USA (e presto anche in Italia), mettendo così in difficoltà chiunque voglia vedere tutte le serie di spicco del momento: sottoscrivere tra i sei e i sette abbonamenti può risultare davvero troppo impegnativo, con una spesa che supera i 60 dollari al mese.
La molteplicità dell’offerta e l’accumularsi dei costi per i singoli abbonamenti stanno riportando alla luce un problema che, seppur mai sparito del tutto, era drasticamente in calo: la pirateria online. Se, per esempio, uno spettatore volesse vedere The Mandalorian, Succession, Stranger Things, The Handsmaid’s Tale, Fleabag e The Morning Show, dovrebbe abbonarsi negli Stati Uniti a Disney+, HBO Now, Netflix, Hulu, Amazon Prime Video e Apple TV+. In Italia la situazione non è molto diversa: le serie trasmesse da HBO Now finiscono su Sky/Now TV (15 euro al mese), The Handsmaid’s Tale è su Tim Vision (5 euro al mese), mentre Disney+ non si può ancora vedere, ma lo sbarco nel Bel Paese è previsto per il 31 marzo 2020.
Da oltre una decina di anni, il metodo per scaricare illegalmente film e serie TV più consolidato era quello dei torrent, file depositati su giganteschi database che aperti con l’apposito software permettono di scaricare i contenuti desiderati. Per anni si è combattuta la battagli ai siti che indicizzavano i torrent: se ne veniva chiuso uno, immediatamente riapriva con un dominio simile o veniva sostituito da nuovi portali altrettanto forniti.
Eppure, negli ultimi due o tre anni, la repressione contro i siti di torrent è diventata più efficiente: da un lato chi deteneva i diritti delle opere ha aumentato le pressioni sulle autorità dei vari paesi, dall’altro la comodità e la relativa economicità dei servizi di streaming legali hanno spinto moltissime persone a preferire gli abbonamenti. Il CEO di Neflix Reed Hastings ha recentemente parlato di due milioni di abbonati in Italia.
Ora però le cose stanno cambiando di nuovo. Sandvine, società specializzata nel contrastare la pirateria informatica, ha recentemente pubblicato il suo report annuale, rilevando che nel 2019, dopo anni di calo, la quantità di traffico consumata dalle condivisioni di torrent è tornata ad aumentare. In particolar modo in Europa, Medio Oriente e Africa, ovvero quelle regioni in cui è spesso difficile accedere alle diverse esclusive dei servizi di streaming statunitensi.
«Quando Netflix ha aggregato i contenuti video, – spiega il report – abbiamo visto un declino nel file sharing nel mondo, specialmente negli Stati Uniti dove il catalogo di Netflix era ampio. Man mano che i nuovi contenuti originali si sono distribuiti con le esclusive agli altri servizi, i consumatori hanno fatto ricorso al file sharing per avere accesso a queste nuove esclusive dal momento che non vogliono o non possono pagare soltanto per poche serie».
Sandvine fa una classifica delle singole applicazioni che consumano più traffico ogni giorno sul Web di tutto il mondo. Al primo posto c’è il protocollo di comunicazione streaming HTTP di Apple, al secondo c’è Netflix, con il 12,6% del totale del traffico in download. Già al decimo posto della classifica, però, c’è BitTorrent, il protocollo su cui si basano i torrent, che occupa il 2,4% del traffico in download e il 27,5% di quello in upload. Entrambe le percentuali sono in aumento rispetto al 2018, precisamente dello 0,2% e del 6,4%. Per farsi un’idea, invece, del calo che c’era stato negli ultimi otto anni, basti pensare che nel 2011, secondo Sandvine, la percentuale di BitTorrent relativa agli upload era del 52,01%.
Se poi vogliamo considerare esclusivamente l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, secondo il report di Sandvine la condivisione di torrent ha rappresentato il 45% del volume totale del traffico in upload legato al file sharing, mentre nel 2018 la percentuale era “solo” del 31%.
Per Sandvine, tra il 4% e il 25% di chi ha un abbonamento streaming ricorre comunque alla pirateria con frequenza settimanale in Nord America, Europa e Medio Oriente. Cresce anche il numero di connessioni che fanno ricorso alle VPN, cioè quei sistemi per nascondere il proprio indirizzo IP durante le connessioni, ideali per chi scarica contenuti illegali: sono semplicemente triplicate nel giro di un anno, nonostante spesso siano a pagamento.