Gli italiani non sentono protetta la propria privacy sui social: è questo uno dei dati principali emersi dalla ricerca Retail Transformation 2.0 realizzata da Digital Transformation Institute e Cfmt, che ha voluto indagare, anche quest’anno, il rapporto delle persone con le tecnologie nel settore retail e non solo.
Nonostante gli ampi sforzi per garantire una maggiore tutela legislativa nei confronti degli utenti, gli italiani continuano a non sentirsi tranquilli quando si parla di privacy.
Infatti, ben il 71% del campione analizzato (il 3% in più rispetto al 2018) afferma che “finché useremo i social network i nostri dati personali non saranno al sicuro”.
Quasi la totalità degli intervistati (95%), afferma di conoscere bene queste tecnologie digitali: gli uomini dimostrano più familiarità delle donne (96% contro 93%), gli over 55 maggiormente rispetto alla fascia 35-54 (96% contro 93%) e infine le persone con un grado elevato di istruzione, consapevoli per il 99% delle opportunità dei social a fronte di un 91% delle persone meno istruite.
Nel momento in cui si è chiesto agli intervistati di spiegare il significato di social network la parola utilizzata di più per farlo è stata Facebook, a voler dimostrare la grande potenza della piattaforma nella vita degli intervistati; gettonate anche le parole: piattaforma, interazione, comunicazione, condivisione e scambio.
“Incrociando i dati di questa ricerca con quelli di altre ricerche che abbiamo realizzato o con fonti dati pubbliche che rappresentano il livello di consapevolezza delle persone sull’uso di questi strumenti (ad esempio il Desi)”, afferma Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute, “emerge un quadro particolarmente interessante rispetto alla grande discrasia tra quello che le persone ‘pensano’ di sapere e quello che sanno davvero. In altri termini il problema da evidenziare consiste nel fatto che si confonde la capacità di utilizzare degli strumenti con la cultura d’uso degli stessi. Le persone sono portate a credere di ‘conoscere’ un social network per il semplice fatto di avere un account su di esso. Ma se si va ad analizzare il dato con maggior dettaglio, ci si rende conto di come poi quelle stesse persone facciano fatica a comprendere come si verifica una fonte, siano facili vittime di fake news, vivano ancora nella ingenua illusione che ‘l’ho letto su internet’ rappresenti una garanzia di veridicità. È questa percezione distorta di consapevolezza – che potremmo definire una conoscenza ingenua – a rappresentare un potenziale problema, perché fa abbassare le difese dell’utente di fronte alla convinzione di sapere qualcosa, quando in realtà il suo livello di consapevolezza è ancora basso. Per questo”, chiosa Epifani, “servono oggi più che mai iniziative promosse da società civile, istituzioni, sistema della formazione che siano volte a promuovere una reale media literacy rispetto a questi strumenti”.
L’utilità dei social network viene individuata dal campione analizzato nella possibilità di acquisire informazioni su un prodotto o servizio in modo molto più semplice che in passato (86% degli intervistati), nel farsi una idea rispetto alla affidabilità di un venditore (74%), farsi una idea precisa di ciò che si vuole acquistare (70%) e valutare la qualità dell’offerta e dei servizi a essa connessi (70%). In crescita rispetto alla edizione 2018 della ricerca, la percezione di attenzione nei confronti dei clienti in caso di gestione accurata dei profili social da parte dei venditori (+6%).
Secondo Giovanni Bocca Artieri, socio fondatore del Digital Transformation Institute e Professore di Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo “emerge in generale una visione più disincantata dei social network come strumenti che probabilmente abbiamo sovrastimato nelle nostre attese rispetto alla funzione di socializzazione diffusa e che oggi costituiscono piuttosto mezzi utili per orientarci dal punto di vista delle informazioni nel mercato ma con la consapevolezza che occorre tenere alta l’attenzione rispetto a recensioni e consigli che possono essere orientati dalle aziende. Una visione critica che si è andata consolidando dopo lo scandalo Cambridge Analytica e la discussione emersa nei media nella direzione di una preoccupazione crescente per la privacy che, secondo gli intervistati, viene messa a rischio quotidianamente dall’uso dei Social Network. In pratica, a livello delle nostre interpretazioni sociali, i social network costituiscono un ambiente simbolico in cui la tecnologia ha contorni orwelliani mentre quando ci concentriamo sulle analisi dell’uso gli utenti mostrano una confidenza consapevole che, tutto sommato, gli permette di orientarsi verso un uso critico”.
Tra i limiti dei social network emersi dalla ricerca notiamo soprattutto: “farsi una idea precisa di un venditore o di un prodotto, perché di fianco alle recensioni di utenti reali trovano moltissime recensioni false” (76%), eccessi di attività dei venditori sui social (72%) e disorientamento per un eccesso di informazioni presenti (67%).
“Anche su questo tema”, conclude Epifani, “è importante dare una lettura che sia focalizzata sugli obiettivi di sostenibilità, ed è necessario aggiungere alla sostenibilità ambientale, a quella sociale ed a quella economica il concetto di sostenibilità culturale. Guardando ad Agenda 2030 è difficile immaginare il perseguimento dell’Sdg 4, legato allo sviluppo di ambienti di apprendimento equi e inclusivi, senza rileggere il ruolo dei social media in questa dimensione. Così come pure è impensabile attuare gli obiettivi dell’Sdg 8, che guarda a una società che promuova una crescita economica duratura, senza che vi sia competenza diffusa su come costruirla in un contesto ove i social media hanno un peso sempre più importante. Per non parlare dell’Sdg 11, che ci fa immaginare le città del futuro, rispetto al quale il ruolo dei social network site come strumenti a supporto della governance è sempre più importante”.