Sanremo 2020, Rula Jebreal commuove l’Ariston

da | Feb 5, 2020 | Attualità

“Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…
Torno a casa… Torno a casa… Li denuncerò domani”
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Franca Rame – Lo Stupro

Uno dei temi più dibattuti della 70° edizione di Sanremo è quello della violenza sulle donne. Già nel corso della conferenza stampa, infatti, Rula Jebreal, giornalista italo-israeliana di 46 anni, consigliere del presidente Macron per il gender gap, ha annunciato che avrebbe devoluto metà del suo cachet a Nadia Murad (anche lei consigliere di Macron), l’attivista irachena yazida rapita e stuprata dall’Isis.

Annuncia però che:

«Non dirò l’entità del cachet”, rivendica Rula rispondendo a chi le chiede se è vero che per lei la Rai abbia staccato un assegno da 25mila euro. “Il vero tema – continua – è capire perché nel 2020 le donne vengono pagate ancora il 25% in meno rispetto agli uomini che fanno il loro stesso lavoro».

La scorsa serata ha finalmente tenuto il tanto atteso monologo per ricordare che la violenza contro le donne “è un’emergenza nazionale, ma anche internazionale”, “un tema apartitico e culturale importante, che riguarda tutti, al di là delle appartenenze e gli steccati”. Aveva annunciato che avrebbe parlato di femminicidio e che avrebbe detto cose “che non ho mai avuto il coraggio di raccontare nemmeno a me stessa fino a quarant’anni”. Si capisce perché per parlare di femminicidio, violenza ma anche rispetto, libertà, usa l’esperienza personale, tragica: il suicidio di sua madre, abusata per anni.

Il suo monologo, iniziato poco prima della mezzanotte, non ha deluso gli spettatori del Festival di Sanremo e neanche la platea dell’Ariston, che si è commossa con lei e la figlia e le ha dedicato un’ovazione. Impossibile rimanere indifferenti dinanzi alle sue parole, parole che tanto ama e a cui, crescendo in un paese di guerra ha sempre dato un’importanza rivoluzionaria.

La scena si apre con la comparsa di due leggii, uno con su un libro nero (parole della realtà e della sofferenza), l’altro con un libro bianco (parole di cui vorremmo riempirci la vita).

Il monologo ha preso il via con le domande più frequenti rivolte alle donne vittime di violenza nelle aule di tribunale: “Aveva la biancheria intima quella sera?”, “Trova sexy gli uomini con i jeans?”, per citarne alcune. L’obiettivo: denunciare “una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, p perché siamo troppo belle o troppo brutte, insomma ce la siamo voluta”, ha spiegato Jebreal. Poi spazio ai numeri: “Negli ultimi tre anni 3 milioni 150mila donne sono state vittime di violenze sessuali sul posto di lavoro, negli ultimi due anni 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze, una ogni 15 minuti, ogni tre giorni viene uccisa una donna, sei donne sono state ammazzate solo la scorsa settimana. E nell’80 per cento dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare, ha le chiavi di casa”.

Il femminicidio, solo in quest’ultima settimana in Italia, ha fatto più vittime del Coronavirus.

Rula sottolinea di essere stata scelta per celebrare la musica e le donne, ma “sono qui a parlare delle cose di cui è davvero necessario. Certo, ho messo il vestito migliore per questa serata, ma il senso di tutto ciò è nelle domande giuste. Chiedetevi com’era vestita la Jebreal, che non si chieda mai più a una donna stuprata com’era vestita quella notte”. Rula parla anche del dramma di sua madre Nadia: “Ha avuto paura di quella domanda, non ce l’ha fatta e come lei tante altre donne. Mia mamma ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni, si è suicidata dandosi fuoco, fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni, da un uomo che la conosceva. Le ferite sanguinano molto di più quando non si è creduto”.

Continua raccontando:

“Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine: la sera ci raccontavamo le nostre storie tristi, che toglievano il sonno…noi bambine una per volta ci raccontavamo una storia. Erano favole tristi, non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate. Ci raccontavamo delle nostre madri spesso stuprate, torturate e uccise”. Ogni sera, continua la giornalista, “celebravamo il dolore con quelle parole. Io amo le parole, nei luoghi di guerra ho imparato a credere alle parole, non ai fucili“.

Jebreal cita Franca Rame e la violenza subita nel 1973, “l’anno in cui sono nata”, ricorda che l’attrice “in quei momenti diceva a se stessa di stare calma, si attaccava ai rumori della città”. Per questo ha alternato le sue riflessioni alle citazioni di importanti canzoni sulle donne “tutte scritte da uomini”. Da ‘La Cura’ di Battiato a ‘La donna cannone’ di De Gregori, da ‘Sally’ di Vasco a ‘C’è tempo’ di Fossati, “perché sono scritte da uomini e dimostrano che è possibile trovare le parole giuste per trasmettere l’amore, il rispetto, la cura. Questo è il momento in cui le parole diventano realtà e dovremmo urlare da ogni palco, anche quando ci dicono che non è opportuno. Io – continua – sono diventata la donna che sono grazie a mia madre, a mia figlia Miral che è lì seduta tra voi. Lo devo a loro, lo devo a tutte noi e anche agli uomini perbene, all’idea stessa di civiltà, di eguaglianza, all’idea più grande di tutte: quella di libertà”. Infine, si rivolge agli uomini: “Lasciateci essere quello che siamo e vogliamo essere. Madri di dieci figli o di nessuno, casalinghe o in carriera. Siate nostri complici, compagni e indignatevi quando qualcuno ci chiede che cosa abbiamo fatto per meritare quello che ci è accaduto. Domani domandatevi com’erano vestite le conduttrici di Sanremo, ma non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata com’era vestita quella notte. Mia madre ha avuto paura di quella domanda. Noi donne vogliamo essere libere nello spazio, nel tempo, vogliamo essere silenzio, rumore. Vogliamo essere proprio questo: musica”.

Sono state parole toste, ma anche molto commoventi al punto da riuscire a scuotere l’animo della platea dell’Ariston e degli spettatori a casa, sperando che siano state così forti da far nascere, almeno in qualcuno, il seme del cambiamento e della rivolta.

Se ti sei perso il suo discorso puoi recuperarlo qui: