di Elisabetta Perissinotto
Docente corsi master eCampus
Questa quarantena ci fa considerare altri punti di vista. Tra le tante prospettive messe in discussione c’è il modo in cui consideriamo il virtuale. Erano in molti, “prima”, a mostrarsi preoccupati per l’uso dei media come sostituto delle relazioni sociali: la tesi per cui il rischio di confondere la realtà con il virtuale è sempre più forte riscuoteva un discreto successo. Soprattutto tra gli adulti con figli adolescenti. Non intendo negare che questo rischio ci sia, né tanto meno affermare che i sostenitori di questa tesi (tanto più con l’aumento dell’ansia sul futuro) siano spariti. È però curioso osservare come le opinioni sulla questione siano molto più sfumate, di questi tempi.
Da una parte si nota una nuova consapevolezza su quanto di finzione ci sia nella realtà.
Dall’altra si affaccia un segreto piacere con cui viene accolta tutta la verità raccontata nella finzione.
Cominciamo a parlare della tanto sopravvalutata autenticità dei rapporti “in presenza”: sento molti alunni – per fare un esempio – rimpiangere il quotidiano incontro con i compagni, gli spazi scolastici così familiari, alcuni docenti…ma anche, per contro, accorgersi che tanti elementi che costruiscono la rituale scansione della vita scolastica possono essere assolutamente irrilevanti. Cercare o promettere una sensazione di sicurezza attraverso l’inamovibilità di scansioni temporali, regole, spazi e ruoli (ricoperti da persone reali), è qualcosa che, visto dalla nuova prospettiva dell’isolamento, può apparire perfino patetico. Non c’è un’opinione comune di tutti su tutto e su tutti, si sgretola proprio questo: che esista “la” scuola o “i” docenti. Ci sono cose e persone di cui si ha nostalgia e altre (o altri) di cui si può fare e si fa volentieri a meno. Ci sono aspetti che confermano la propria importanza e altri che si mostrano, in questo periodo, in tutta la loro ipocrisia. O quantomeno irrilevanza.
L’aspetto che mi appassiona di più – lo ammetto – è però quello in cui ci occupiamo della realtà nella finzione. Mentre attendiamo che ci ridiano la possibilità di incontrare (e anche abbracciare) le persone che abbiamo una vera voglia di vedere, ci stiamo accorgendo che una parte della nostra autenticità può essere esercitata anche attraverso canali virtuali. Non è meno vera una conversazione tra veri amici se fatta al telefono o al PC. Che se ne possano avere migliaia, di amici così, lo sappiamo bene che è una finzione a cui partecipiamo consapevolmente, chiamando con questo nome i nostri contatti sui Social. Che alcuni di quei contatti ci vogliano bene veramente, però, è un bene prezioso che non dobbiamo sottovalutare mai. Tanto meno ora.
In questa totale destrutturazione delle certezze vien fatto di chiedersi: è possibile discriminare tra vero e finto? Il mio suggerimento è che l’ambito su cui ci poniamo la domanda non sia l’intero mondo, ma frammenti di realtà. Se pensiamo alle prossime settimane – sia per la nostra vita individuale, sia in dimensione globale – possiamo essere schiacciati dall’ansia e dalla depressione oppure raggirati dal delirio di onnipotenza. Il singolo aspetto della singola cosa mi appare invece osservabile e perfino affrontabile.
Frammenti. Qui sta a mio avviso la ragione del fascino che esercitano le storie raccontate nelle SERIE TV. Un fascino enorme: lo esercitano già da un po’, su adolescenti e adulti, ora ancor di più. I personaggi delle serie sono palesemente inventati o dichiaratamente romanzati. È finzione: nessuna pretesa di oggettività. Lo sappiamo e lo scegliamo come compagnia del nostro quotidiano. Nessuna storia che ci sentiamo raccontare ci dice la verità tutta intera, sulle persone o sul mondo. Ogni episodio, anche quelli in cui si risolve un caso (poliziesco, medico, legale o di qualsiasi altra natura) ci aggiunge un’informazione su un personaggio, ne mostra la complessità e la fragilità. Sfumature, frammenti, brandelli di verità raccontati da altri per noi. E a volte finiamo per riconoscerci e sentirci raccontati. Il momento in cui una narrazione distopica confonde il nostro senso del possibile e la nostra visione della realtà (eppure potremmo aver detto noi, quella frase, perfino pianto quelle lacrime) può diventare il momento in cui incontriamo parti di noi. Frammenti. Come minuscoli pezzetti di specchio.
Il mondo del virtuale non è la soluzione a tutti i problemi di contagio. Non è il futuro delle nostre relazioni. Ma non è nemmeno il nostro avversario. È una modalità in cui è possibile trovare spazi di autenticità: dipende da quanto coraggio abbiamo da investire e da quanto credito riusciamo a dare alla bellezza delle immagini.