Intervista a Giuliano Rizzardini: i risultati ci sono, mollare sarebbe inopportuno

da | Apr 7, 2020 | #Covid19 - L'ora d'aria, Attualità

Guarda la prima parte dell’intervista:

Guarda la seconda parte dell’intervista:

 

«I risultati si stanno cominciando a vedere grazie all’isolamento a casa quindi mollare in questo momento sarebbe inopportuno.»

Queste sono le parole di Giuliano Rizzardini, direttore responsabile malattie infettive 1 dell’ospedale Luigi Sacco di Milano. Proprio nel suo studio dell’ospedale, che ricordiamo essere in prima linea per quanto riguarda l’emergenza e pandemia Coronavirus, risponde in via telematica alle domande del giornalista dell’Università eCampus Antonio Dentice.

L’infettivologo spiega che è bene che le uscite, particolarmente quelle meno necessarie, siano ridotte al minimo, poiché il rischio è che, se non seguissimo fermamente le regole, i sacrifici di una lunga quarantena risulterebbero vani. In questo, l’esempio deve essere il modello cinese: popolo sempre ligio alle regole e dal forte spirito comunitario. In più, a limitare il rischio pandemia, il Governo cinese ha messo a disposizione un’App per smartphone Alipay Health Code – che controlla l’epidemia e monitora il rischio di contagio.

Un team di esperti cinesi è giunto lo scorso 23 marzo proprio a Milano all’ospedale Sacco e durante la sua permanenza in Italia, la squadra cinese ha incontrato in diverse occasioni numerosi connazionali e ha donato materiale sanitario alle parti interessate, illustrando l’esperienza cinese e trasmettendo la premura della Cina. Da questo incontro è nata una collaborazione e scambio di ricerche scientifiche fra le due equipe, il tutto finalizzato alla cura contro il Covid-19.

Trovare una cura efficace è la priorità di tutti noi, dice Rizzardini, in quanto:

 «Il rischio c’è  sempre ogni qual volta che mettiamo il naso fuori dalla porta di casa,  e in questo momento tutte le situazione quotidiane sono pericolose per il contagio. Non esiste infatti una situazione più a rischio dell’altra, per ciò è essenziale: mantenere le distanze, lavarsi le mani  e igienizzare le mascherine. Da evitare nel modo categorico invece: l’assembramento e la vicinanza ad alti individui. Lo ripeteremo fino alla noia.»

L’esperienza sul campo porta Rizzardini a fare una stima circa una probabile percentuale di prognosi riservata dei pazienti del Sacco. Per quanto sia un calcolo incompleto, poiché andrebbero analizzate ed escluse tutte le patologie, spiega il medico:

«La percentuale è di circa del 20%, in cui la maggior parte di questi sono anziani, ma abbiamo avuto anche  casi di giovani. Gli  immunodepressi e i cardiopatici, gli obesi e i diabetici hanno un maggior rischio di aggravarsi. Così sarebbe che la prognosi più grave colpisce un individuo su cinque. Ma è un numero da prendere con le pinze, poiché la mia stima si base sui pazienti che arrivano all’ospedale già quindi con sintomi evidenti, per una stima totale andrebbe conteggiato il numero degli asintomatici.»

Per i pazienti ricoverati in ospedale si aggiunge oltre al danno della malattia,  la beffa della solitudine:

«L’isolamento forzato dei pazienti, la lontananza dalle persone care e la morte in solitudine senza avere la possibilità di salutare le persone care, è se possibile ancora più doloroso della malattia stessa. Immaginate cosa si prova già al sol  pensiero di morire soli.»

Una morte nuova a cui non eravamo preparati, dice Rizzardini:

«Cerchiamo di sopperire con ogni mezzo alle mancanze causate dall’isolamento e della solitudine dei pazienti, lavoriamo ogni giorno per 12/15 ore, con dedizione ed attenzione. Quello che mi ha più stupito è l’umanità di tutto il personale medico: infermieri, chirurghi, impiegati, inservienti, tutti stanno fornendo un aiuto concreto, mettendo la vita dei pazienti al primo posto.»

Ogni volta che un paziente lascia l’ospedale è una gioia per tutti:

«L’esperienza più bella e liberatoria? Si trattava di un giovane, ed è stato il primo caso di guarigione. È stata la cosa che ci ha dato la speranza: il nostro primo caso che tornava a casa.»

Antonio Dentice
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