È fresca di pubblicazione, l’intervista rilasciata del genio del design Carolo Ratti su Open a cura della giornalista Serena Danna.
Carlo Ratti è il famoso architetto e ingegnere italiano che con le sue creazioni e progetti ha incantato l’America, divenendo direttore e fondatore del SENSEable City Lab al MIT – Massachusetts Institute of Technology di Boston. Nato a Torino nel 1971, fino a qualche anno fa tutto il mondo lo conosceva come l’enfant prodige dell’architettura e oggi è uno dei “50 designer più influenti in America” stanno alla rivista Fast Company.
La sua Vision è intrinsecamente caratterizzata di ottimismo verso la tecnologia, è opera sua, infatti, il lavoro svolto nel campo delle “città intelligenti” e sulle “smart cities”.
Facendo suo il motto dell’ex sindaco di Chicago, Emanuel Rahm «non lasciare mai che una crisi vada sprecata», Ratti spiega come dalla crisi dobbiamo trarre del vantaggio e per tanto ripensare a un modo nuovo e diverso di vedere gli ambienti, luoghi e le modalità di interazione. Il lockdown dovuto alla pandemia, ha fatto riflettere tutti noi sui concetti di spazio e tempo:
«Molti hanno apprezzato queste settimane delle riunioni in pigiama con la giacca. E di certo non sentiremo nostalgia dei meeting che venivano rinviati per mesi per far coincidere le agende, o i viaggi intercontinentali per una riunione di qualche ora. La maggiore flessibilità che abbiamo conosciuto durante il lockdown è qualcosa di bello che resterà con noi».
Uffici più flessibili, dunque, e orari a misura dei lavoratori, lo smart working forzato di queste settimane, ha permesso ai lavoratori di avere più autonomia e di risparmiare tempo, denaro, un maggior rispetto per l’ambiente.
Tempo risparmiato e sua volta investito sulla sfera privata e personale, comportando dei miglioramenti psicofisici e un drastico crollo dello stress, come dimostrato da recenti studi.
Uscendo dalla crisi, bisognerà ripensare con particolare attenzione anche all’istruzione, soprattutto quella universitaria:
«Se tutto il mondo – dice Ratti – è stato costretto allo standbye, ora sta alle università ripartire e rispondere alla chiamata di rinnovamento. Negli ultimi decenni il digitale ha innescato rivoluzioni in tantissimi settori, ma non nell’accademia. L’università di oggi è ancora ispirata a quella di Bologna dell’anno 1000 e al college stile Cambridge, di un paio di secoli più giovane. Le università sono dinosauri».
Trovare nella tecnologia un’alleata e non un nemico per il prossimo futuro dell’insegnamento universitario, continua Ratti:
«L’università italiana ha punte di eccellenza in tutta la penisola. Tuttavia se penso a come è impostato l’insegnamento, dico che tutto potrebbe essere fatto meglio in rete. Le grandi lezioni frontali in cui un professore parla e i ragazzi ascoltano possono essere condotte via Zoom o pre-registrate. Viene liberato il tempo degli studenti – che così possono studiare con il ritmo che preferiscono, senza doversi alzare all’alba per correre in aule sovraffollate usando metropolitane colme – e quello dei professori, che non sono costretti a ripetere sempre la stessa lezione, la stessa di anno in anno, con gli stessi lucidi. Quel tempo può essere utilizzato per aumentare e migliorare l’interazione. Non più aule ma laboratori, in cui avvengono scambi molteplici per formare quello che i francesi definiscono lo “spirito di corpo”. Gli studenti creano relazioni tra di loro che sono cruciali quanto le interazioni con i docenti. I weak links, i cosiddetti legami deboli che provengono dalla casualità dei nostri incontri, sono importantissimi, altrimenti rischiamo di chiuderci in una bolla che polarizza le nostre idee. Se lavoriamo solo online, la nostra rete di contatti si impoverisce».
L’esperienza del passato che incontra la tecnologia questa è l’ambizione per il futuro, creando un mix tra flessibilità online e incontro fisico, come sul lavoro anche nel mondo delle Università.