Era un Donald Trump particolarmente disciplinato quello che ha affrontato Joe Biden nell’ultimo dibattito sul palco della Belmont University di Nashville, Tennessee, prima delle elezioni del 3 novembre. Freddo, moderato, distaccato, come solo in pochissime occasioni si era mostrato. Evidentemente questa volta il tycoon, notoriamente indisciplinato e incline alla teatralizzazione, ha preferito dare ascolto ai suoi consiglieri.
Senza prevaricare l’avversario politico, Trump ha terminato il confronto senza averlo mai trasformato in rissa, come era invece accaduto a Cleveland, Ohio, il 29 settembre scorso. Più rispetto e morbidezza erano stati i consigli di Bill Stepien, il capo della sua campagna. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, le casalinghe di periferia sono una consistente fetta dell’elettorato che sta voltando le spalle al Presidente e tra i motivi di questa svolta ci sono sicuramente i modi machisti e aggressivi del primo dibattito, che avevano praticamente impedito all’avversario democratico di parlare.
Gli argomenti principali del confronto sono stati ancora una volta il Coronavirus, la politica estera e la difesa dei confini. Tre argomenti sui quali i due candidati hanno evidentemente visioni diametralmente opposte.
Il presidente Trump risponde un po’ impacciato alla domanda della conduttrice Kristen Welker sulla pandemia, assicurando: «Mi sono ammalato anche io, ho imparato nuove cose. Il vaccino sarà distribuito subito, lo faranno i militari». Ma poi, sotto pressione, ammette: «Non posso garantirlo. Ma siamo vicini».
È un confronto caloroso ma senza accapigliarsi, dunque, quello tra Trump, salito sul palco senza mascherina, e Joe Biden, che se la toglie solo giunto alla sua postazione, per poi mostrarla più volte argomentando le sue posizioni. Nessun plexiglass tra i candidati, com’era inizialmente stato annunciato, tolto per decisione comune, dopo i tamponi che li hanno certificati entrambi negativi al virus.
«Hai mentito al Paese, il virus non se ne sta affatto andando. – attacca il candidato democratico Biden – Non hai un piano. Non ti prendi responsabilità». Pronta la risposta trita e ritrita dell’attuale presidente: «Non è colpa mia ma della Cina. E non possiamo chiudere la nazione, col virus dobbiamo imparare a convivere». Facile e veloce il contrattacco: «Col virus non si convive, si muore».
È il turno di Biden di essere attaccato, sul figlio Hunter e le controverse mail pubblicate dal New York Post secondo cui il ragazzo organizzò un incontro fra il padre e certi affaristi ucraini. Il candidato dem però incassa bene: né lui né il figlio, assicura Biden, hanno fatto affari oscuri con la Cina: «L’unico che ha fatto soldi col dragone sei tu», accusa, riferendosi al conto cinese di Trump emerso recentemente: «Non hai mai pagato le tasse, andiamo». E questa volta Trump traballa con una risposta impopolare: «Il fisco è sleale con me».
Anche sulla politica estera parte qualche scintilla, con Biden all’attacco: «Ha legittimato la Corea del Nord. Parla di quel suo buon amico, un bandito». Trump cerca di tamponare: «Abbiamo buone relazioni e non c’è guerra» e ancora: «Kim non voleva incontrare Obama perché non gli piaceva».
Il gioco si fa serio quando si arriva a parlare dei bambini separati dai genitori al confine e ancora rinchiusi nei centri di contenimento: almeno 500 di loro non hanno più avuto contatti coi genitori, di cui hanno perso ogni traccia: «Li avete strappati alle madri e ora sono soli, non sanno dove andare», accusa l’ex vicepresidente di Obama. Ma Trump cerca di non vacillare: «Le gabbie usate per tenere i clandestini furono costruite da voi nel 2014».
Un dibattito che vede quindi un tycoon meno aggressivo e un Biden più lucido, da cui escono entrambi stanchi, se non stremati, tra le dichiarazioni fumose del primo: «Ho dato lavoro a tanti afroamericani, so come mettere a posto le cose», e quelle più retoriche del secondo: «Sarò il presidente di tutti…»
Trump meno aggressivo, Biden più lucido. Ma nel finale di un confronto soprattutto difensivo, sono tutti e due stanchi. Le dichiarazioni finali del presidente sono fumose: «Ho dato lavoro a tanti afroamericani, so come mettere a posto le cose». L’avversario è soprattutto retorico: «Sarò il presidente di tutti…»
«Un dibattito fantastico» conclude la moderatrice Kristen Welker, felice di come è riuscita a gestire lo scontro. «Le elezioni sono il 3 novembre. Non dimenticate di votare».