Da quest’anno, e fino al 2023, al servizio civile universale si aggiungeranno ben 1000 giovani volontari che si dedicheranno esclusivamente all'”evangelizzazione” del digitale. Il ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale e quello per le Politiche giovanili hanno, infatti, pubblicato online l'”Avviso agli Enti iscritti all’Albo del Servizio civile universale” che permetterà di concretizzare il servizio civile digitale.
«A decorrere da oggi e fino alle ore 14.00 del giorno 29 luglio 2021, – si legge nel comunicato – gli Enti possono presentare programmi d’intervento specifici da realizzarsi in Italia, che coinvolgono 1.000 giovani che ricopriranno il ruolo di “facilitatori digitali”.
I giovani, adeguatamente formati, potranno contribuire con il loro operato all’accrescimento delle competenze digitali diffuse per favorire l’uso consapevole e responsabile delle nuove tecnologie, nonché promuovere il pieno godimento dei diritti di cittadinanza attiva da parte di tutti. Al termine del servizio, gli operatori volontari potranno anche veder riconosciute, tramite una specifica certificazione, le competenze digitali acquisite.»
Questa l’ultima evoluzione che dal 1972, quando nacque il servizio civile come diritto all’obiezione di coscienza alla leva militare, oggi assume una forma di impegno verso il prossimo anche dal punto di vista dell’innovazione. Si tratterà, quest’anno, di una partenza in via sperimentale, con uno stanziamento di 6,4 milioni di euro, ma il progetto proseguirà per altri due anni grazie ai 60 milioni di euro inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza legato al Recovery Fund europeo. E se per il 2021 sono previsti 1000 volontari, il numero potrebbe notevolmente aumentare in futuro: fonti governative suggeriscono che il totale delle persone coinvolte nell’arco del triennio dovrebbe arrivare a quota 10mila.
Nella pratica, questi volontari dovranno essere dei facilitatori digitali: potranno animare corsi di alfabetizzazione digitale e produttività da remoto, aiuteranno le persone nell’utilizzo di nuovi strumenti di cittadinanza, ad esempio nell’apertura dell’identità digitale Spid, organizzeranno laboratori e sosterranno chi ha bisogno nell’approccio alle nuove tecnologie che ormai sono entrate (o dovrebbero esserlo) nella nostra vita quotidiana. Il loro incarico durerà dagli 8 ai 12 mesi, in base al progetto in cui saranno coinvolti, impegnandosi per almeno 25 ore settimanali e ricevendo un compenso mensile pari a 439,50 euro netti, esattamente quanto i volontari del servizio civile universale. Al progetto potranno partecipare cittadini italiani, europei o non comunitari con regolare permesso di soggiorno con un età compresa tra i 18 e i 28 anni. A conclusione del servizio, i volontari otterranno una certificazione che riconoscerà il lavoro svolto.
Di certo il compito che si troveranno a svolgere sarà tutt’altro che facile, specialmente in un Paese come l’Italia dove favorire l’utilizzo di servizi pubblici online e incrementare le competenze digitali della popolazione sembra da sempre una “missione impossibile”. Secondo l’ultimo rapporto Desi del 2019, ben il 58% degli italiani tra i 16 e i 74 anni non ha competenze digitali nemmeno del livello base, cioè quello che consentirebbe di esercitare in pieno i diritti di cittadinanza.
Dal 2019 di sicuro la situazione sarà cambiata, anche e soprattutto dopo gli ultimi 12 mesi, in cui sempre di più hanno compreso quanto siano essenziali queste conoscenze, fra lavoro a distanza, incombenze burocratiche da risolvere online e rapporto con le autorità sanitarie da app e siti web. Eppure, secondo le stime più recenti, ancora circa 26 milioni di italiani sono automaticamente esclusi da questi servizi.
È chiaro che il servizio civile digitale non potrà capovolgere la situazione, causata da troppi motivi diversi, ma è comunque un tassello fondamentale della strategia nazionale per le competenze digitali e del programma europeo “Reskill and Upskill”, che hanno l’obiettivo di colmare il divario italiano entro il 2026.
«Le ragazze e i ragazzi non saranno solo i destinatari delle grandi innovazioni che il Pnrr porterà con sé, ma potranno essere anche vettori del cambiamento digitale, supportando la transazione del Paese verso il cloud, l’interoperabilità, una cultura di approccio digitale ai servizi pubblici. – spiega il ministro delle Politiche giovanili Fabiana Dadone – Non stiamo semplicemente innovando l’Italia, stiamo prendendo atto degli usi e costumi dei giovani italiani che non vedono l’ora di essere il braccio e la testa della società di domani».