Proteste in Kazakistan: cosa sta succedendo?

da | Gen 11, 2022 | Attualità

164 morti, oltre sei mila arresti, migliaia di feriti. Queste sono le cifre ufficiali che il governo del Kazakistan ha fornito a seguito delle proteste che vanno avanti dal 2 gennaio ma i numeri verosimilmente sono molto più alti. Un inizio di 2022 estremamente difficile per uno dei paesi più importanti dell’Asia Centrale. Ma perché sono scoppiate le proteste nel paese?

Il Kazakistan

Diventato indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991, il Kazakistan è il più grande Paese al mondo senza uno sbocco sul mare e conta diciannove milioni di abitanti. È una repubblica unitaria monopartitica (di fatto una dittatura) e la sua capitale è Nur-Sultan. Fino al marzo 2019, la capitale aveva il nome di Astana ma è stata rinominata in onore dell’ex presidente della repubblica Nursultan Nazarbaev che ha governato col pugno di ferro per più di trent’anni.

È un Paese importantissimo dal punto di vista strategico ed energetico. Il Kazakistan confina con la Russia e la Cina. Grazie a questa posizione strategica, è un punto di passaggio fondamentale per i commerci perché collega i grandi mercati della “Via della Seta” della Cina e dell’Asia con quelli della Russia e dell’Europa.

È ricco di giacimenti di idrocarburi e metalli ed è il primo produttore mondiale di uranio, il nono più grande esportatore di petrolio al mondo e il decimo produttore di carbone. È anche il secondo più grande minatore di Bitcoin dopo gli Stati Uniti e sul suo territorio si trova la base di lancio Baykonur, usata dal programma spaziale russo.

Grazie alla grande disponibilità di queste risorse naturali, nel Paese si è formata una ristretta élite ricchissima. Tuttavia ancora oggi molte zone del Kazakistan sono poverissime: metà della popolazione vive in comunità rurali, spesso isolate, e non ha accesso ai servizi pubblici.

Le proteste

Le rivolte sono iniziate il 2 gennaio a Zhanaozen nella regione del Mengistau, una delle zone occidentali ricche di petrolio. La scintilla è stata causata dalla decisione del governo di aumentare il prezzo di butano e propano. Il cambiamento di prezzo non è stato accolto favorevolmente: nella regione del Mengistau il 90% delle automobili va a gas, inoltre questa risorsa è usata anche per il riscaldamento.

Le proteste si sono allargate nel giro di poche ore in tutto il Paese, coinvolgendo Almaty, la capitale economica, e Nur-Sultan. I disordini si sono propagati molto velocemente perché hanno attinto al malcontento diffuso tra la popolazione kazaka causato dalla corruzione endemica dello Stato e dalla disuguaglianza economica, che a seguito della pandemia si sono aggravate ulteriormente.

Cartina delle proteste in Kazakistan. Fonte: RFE/RL’s Kazakh Service

La reazione del governo kazako

La reazione del governo kazako è arrivata subito dopo lo scoppio delle proteste. In un intervento televisivo, il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha dichiarato immediatamente che “il governo non cadrà”, accusando i manifestanti di essere agenti stranieri provocatori e promettendo che la risposta alle proteste sarebbe stata dura.

Poco dopo, la città di Almaty è stata isolata, l’accesso a Internet è stato bloccato, così come i social network (tra cui Facebook, WhatsApp, Telegram e WeChat) ed è stato imposto il coprifuoco notturno in tutte le città coinvolte. Tre giorni dopo, gli scontri sono diventati violenti e gruppi di uomini hanno preso d’assalto alcuni edifici governativi, impossessandosi anche dell’aeroporto di Almaty. Nel frattempo, l’esecutivo si è dimesso nonostante le promesse iniziali di Tokayev.

Ad aumentare le tensioni, il 7 gennaio il presidente Tokayev ha autorizzato le forze dell’ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti senza preavviso con queste parole: “I terroristi – così ha definito i manifestanti – continuano a danneggiare la proprietà statale e privata e ad usare armi contro i cittadini per questo ho dato l’ordine alle forze dell’ordine e all’esercito di aprire il fuoco per uccidere senza preavviso”.

La reazione della Russia

La situazione in Kazakistan è molto preoccupante: l’instabilità del Paese, infatti, rischia di avere delle pesanti ripercussioni sulla stabilità regionale.

La Russia, prime fra tutte, sta osservando molto da vicino la situazione. Oltre ad essere un ex repubblica sovietica, i due Paesi condividono un lunghissimo confine di quasi otto mila chilometri ed è un importante alleato in Asia Centrale. Il Cremlino ha un forte interesse nell’aiutare il governo kazako, perciò a seguito della richiesta del presidente Tokayev, nel Paese sono state inviate nel firo di poche ore delle truppe della Collective Security Treaty Organization (CSTO), l’alleanza militare che unisce le nazioni ex sovietiche ancora vicine a Mosca.

Lunedì Tokayev, Putin e i leader degli altri Paesi del CSTO (Bielorussia, Kirghizistan, Armenia e Tagikistan) si sono riuniti per parlare della situazione. Durante l’incontro, Putin ha dichiarato che le proteste sono state causate da ingerenze straniere e che un blocco militare a guida russa prenderà provvedimenti per garantire che futuri tentativi di interferire nella regione falliscano.