Ci sono determinati malesseri che vengono sottovalutati, da chi ne soffre e dai medici, parliamo delle malattia croniche intestinali. In aumento il numero di pazienti affetti da queste sindrome e al contempo diminuisce la fascia d’età colpita.
Le malattie croniche intestinali, (in inglese “IBD”, Inflammatory Bowel Disease) comprendono la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. Negli ultimi 30 anni la prevalenza globale delle IBD è aumentata dell’85%, con un numero di ammalati di circa 7 milioni a livello mondiale.
Nel 2017 i casi di IBD a livello globale sono stati 6,8 milioni, mentre nel 1990 erano 3,7 milioni. Il tasso di prevalenza standardizzato per età è aumentato da 79,5 per 100.000 abitanti nel 1990 a 84, 3 per 100.000 abitanti nel 2017.
Si stima che in Italia l’incidenza di queste patologie sia di circa il 9-12%, e sia in aumento. Le cause della patologia sono perlopiù ignote, nonostante siano noti alcuni fattori di rischio quali una predisposizione genetica e la presenza di un microbiota intestinale predisponente in grado di innescare una violenta risposta immunitaria.
Riconoscere una disbiosi intestinale è il primo passo per avere una diagnosi: il termine disbiosi (dysbiosis) indica la natura stessa di questa condizione: il prefisso “dis-”, utilizzato per indicare un’alterazione o un’inversione, precede il termine greco “bios”, ovvero “vita”, “essere vivente”, opposto al termine “eubiosi”, dove il prefisso “eu” significa “buono” o “equilibrio”. Il termine “vita”, in questo caso, fa proprio riferimento alla vita dei microrganismi che risiedono nell’intestino, o microbiota. La disbiosi determina quindi un’alterazione del microbiota intestinale che causa l’insorgenza di una serie di disturbi a livello gastrointestinale e non solo.
Diagnosticare una malattia intestinale non è un processo immediato. Per questo motivo è consigliato recarsi subito da un medico nel momento in cui si riscontrano anomalia nella corretta funzione intestinale.