“PRESENZE, esercizi di paesologia”

da | Nov 24, 2023 | Eventi

Prima mostra personale del Maestro Franco Arminio, a cura di Stefania Pieralice

Università eCampus, via Matera 18, Roma

Incontro con l’autore 1 Dicembre ore 11.00

Esposizione dal 1 Dicembre 2023 fino al 31 Gennaio 2024, ingresso libero (lun./ven. 9.00 – 19.00; sab. 9.00-13.00)

Si definisce un «fotografo non praticante che fa lo scrittore» il poeta paesologo Franco Arminio, una tra le voci più autorevoli della poesia italiana. L’Università eCampus di Via Matera 18 in Roma ospiterà diciannove suoi scatti fotografici che daranno il via, a partire dal 1 Dicembre e fino al 31 Gennaio 2024, alla prima mostra del noto scrittore dal titolo “PRESENZE, esercizi di paesologia”. Arminio dichiara di «scrivere per immagini, dove la fotografia e quindi il guardare viene prima dello scrivere», nelle pagine poetiche più significative egli stesso afferma come ad anticipare i pensieri ci siano una serie di parvenze: «un soffio visivo che alimenta la scrittura, un paesaggio interiore che affiora scrivendo». Luoghi e persone fotografate in chiave “paesologica”, rispettandone l’intimità senza alcuna alterazione o trasformazione, sempre col desiderio di testimoniare ciò che si vede dove «il luogo è un testo che qualcuno ha scritto e qualcuno legge», sottintendendo, con tali parole, la grande responsabilità nel «saper leggere un territorio, attraverso uno sguardo dolce e clemente», per evitarne una «cattiva qualità di lettura». In mostra sono state scelte, riportando le parole della curatrice Stefania Pieralice: «testimonianze visive della «qualsiasità» che restituiscono al paesaggio un volto semplice, genuino, lontano dalle immagini stereotipate, dalle nuove costruzioni di cemento armato, dalle coltivazioni intensive, dall’inquinamento urbano, dai volti truccati». E così in quegli scatti: «immaginiamo il dialetto che resiste, l’odore umido dei pomodori passati in cantina, il lento muoversi delle tende moschiere tra le porte aperte, le tracce, il senso della dolcezza del vivere, un vivere comunitario, un posto popolato di “anonimi” che hanno fatto la storia, vecchi abbandonati entro paesi spaesati allo stesso modo dei poeti, o degli artisti». Il primo dicembre alle ore 11.00 presso l’Università eCampus si terrà l’incontro con l’autore.

NOTE CRITICHE DELLA CURATRICE SULLE OPERE IN MOSTRA

di Stefania Pieralice

Francesco Arcangeli nei suoi “tramandi” annovererebbe Franco Arminio in una grande “famiglia spirituale” assieme a Giorgio Morandi aggiungendo in ambito letterario, Corrado Alvaro e Gianni Celati…per andare a ritroso sino a Leopardi, rinvenendo poi legami nella cinematografia di Cesare Zavattini o nella musica di Alessandro Cicognini e Nino Rota, fino a concludere con un grande fotografo quale Luigi Ghirri. Perché la storia non esiste, così come il tempo inteso in senso lineare e progressivo; ciò invece che rileva è quella coscienza travagliata che portava l’autorevole storico dell’arte a misurare la sua ombra sul muro altissimo del cortile dinnanzi casa, una «parete con un po’ d’angoscia» nel vedere la sagoma sparire, pian piano, all’imbrunire.

Archeologo della fotografia, Arminio incrocia immagini folgoranti di un basso Stivale che giungono come apparizioni, nell’epoca «dell’evaporazione del Padre» direbbe Lacan. Frammenti visivi poetici, scintille di senso a disposizione di chi nutra uno sguardo carezzevole, vigile. Piazze deserte, focolari spenti, antichi agglomerati “ammattonati” di tufo come vecchi formicai, luoghi fantasma dove i vecchi escono poco e i giovani sono partiti. È nelle viuzze rurali del Meridione che Arminio, come un “cenciaiolo” raccoglie gli scarti, i lacerti, i residui del mondo per ricostruire un presente che possa essere passato prossimo attraverso immagini della memoria. Il tempo diventato qui l’orologio rotto di un campanile fermo all’anteguerra, ai bizantini, disvela miracolosamente il segreto di quei paesi metafisici, eterni come i respiri trascorsi, le impronte bloccate nel fango dei sentieri di campagna, gli occhi vitrei degli animali che, da millenni, pascolano allo stesso modo, con lo sguardo ancora fiero, perché c’è un «sole preciso» dirà, in uno dei suoi libri, l’autore.

E così immaginiamo il dialetto che resiste, l’odore umido dei pomodori passati in cantina, il lento muoversi delle tende moschiere tra le porte aperte, le tracce, il senso della dolcezza del vivere, un vivere comunitario, un posto popolato di “anonimi” che hanno fatto la storia, vecchi abbandonati entro paesi spaesati allo stesso modo dei poeti, o degli artisti.

In quest’ode al silenzio e alla riflessione l’atmosfera elegiaca, crepuscolare, si fa intrisa di sacro, non inteso in senso mistico bensì alla maniera di un altro compaesano, Giordano Bruno, che ne vedeva i resti in ogni cosa. Non c’è alcuna verità archetipica perduta da recuperare, nessuna voglia di rendenzione perché il Nostro è egli stesso “presenza” di quella terra di nessuno in cui ombre umane si aggirano senza sapere quanto resteranno, in quei luoghi di transito tra la vita e la morte.

Il trauma della perdita è ferita così viva, sanguinante, a tal punto che ogni immagine diviene dura, spigolosa, non compromissoria come fosse una dichiarazione ideologica lontana dalla “cipria” del mondo e al contempo così vicina all’abisso dell’autore, sorgente viva dell’irrappresentabile, di quell’aura al tramonto.

Da qui il raffronto “morandiano” secondo cui: «Quello che importa è toccare il fondo» al fine di «ricominciare a guardare le cose» difatti – scriverà Franco –  la cura sarà proprio «guardando fuori», diversamente dallo sguardo anestetizzato di chi non ha mai nulla da vedere.

Ecco così porte e finestre murate in paesi terremotati, relitti d’abitazioni, volti rugosi e denti cariati già erosi dall’oblio, immagini nate dalla Φιλοκαλία di Arminio. In ognuna riluce l’amore per le storie e per i racconti di quelle realtà invisibili o «fuori luogo» dove il passato è scritto sui ruderi, nei nomi delle vie, nel dialetto del posto, nelle galline sulle piazze, nelle porte delle case lasciate aperte, nell’osteria di Vito e prima ancora di Luigi, in quell’albero bisaccese enorme i cui rami sembrano le piccole braccia dello scomparso Tullio Petrillo. Arminio si muove come un «cacciatore di fantasmi» direbbe Sebald, alla ricerca di quella memoria involontaria che dà senso alla vita attraverso il ricordo, che ricostruisce la propria identità come il sapore delle madeleine per Proust.

Il “sismografo del paesologo” si fa così sismografo dell’anima, dei suoi contraccolpi, dei suoi tremori e fa pensare a quando Gianni Celati, nel ’79, in un periodo di smarrimento esistenziale, aveva preso la corriera per rivedere i luoghi di sua madre o quando Luigi Ghirri, fotografo emiliano, realizzava, assieme ad altri colleghi e allo stesso Celati, Viaggio in Italia o ancora quando Zavattini, con il fotografo Paul Strand, pubblicava Un paese. Tutte testimonianze, testuali e fotografiche, della «qualsiasità» che restituiscono al paesaggio un volto semplice, genuino, lontano dalle immagini stereotipate, dalle nuove costruzioni di cemento armato, dalle coltivazioni intensive, dall’inquinamento urbano, dai volti truccati. E allora per trovare la Strada provinciale delle anime, dove giungono ai vivi Cartoline dai morti, occorre conservare quello sguardo del sensibile verso le cose. È proprio lì che il mondo finisce per aprirsi ad un nuovo inizio.

SINTETICA BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Franco Arminio è nato nel 1960 a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente, dove vive tuttora. Ha pubblicato una trentina di libri, che hanno raggiunto decine di migliaia di lettori. Tra i tanti: Viaggio nel cratere (Sironi), Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza), Terracarne (Mondadori), Cartoline dai morti (Nottetempo), Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori), Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere), La cura dello sguardo (Bompiani), Lettera a chi non c’era (Bompiani), Studi sull’amore (Einaudi), Sacro minore (Einaudi). Come “paesologo” ha ideato nel 2012 il festival La luna e i calanchi, evento di cui è direttore artistico e che si svolge ogni anno ad Aliano (MT), con migliaia di partecipanti da tutta Italia. Nel 2014 ha creato e tuttora porta avanti la Casa della Paesologia a Bisaccia. Ha collaborato e collabora con vari giornali, tra cui Il Corriere della Sera, L’Espresso, Il Fatto quotidiano e Il Mattino. Sul suo lavoro Rai 3 ha realizzato due puntate del programma Che ci faccio qui di

Domenico Iannacone. Ha vinto vari premi, tra cui il Premio Dedalus e il premio Gorky con Cartoline dai morti, il premio Volponi e Carlo Levi con Terracarne, il Premio Brancati con Cedi la strada agli alberi. Nel 2021 ha vinto il Premio Napoli alla cultura. Come osservatore di luoghi collabora con il Touring Club e con National Geographic. Si occupa anche di documentari e fotografia. Tra i vari lavori, ha realizzato con Davide Ferrario Nuovo Cinema Paralitico (uscito nel 2020). È molto attivo in Rete e nello stesso tempo gira continuamente l’Italia: oltre200 incontri all’anno per portare la sua idea di poesia e la sua battaglia contro lo spopolamento dei paesi.