Quando l’oro diventa un piatto

da | Lug 25, 2024 | Attualità

Qualche anno fa si fece un gran parlare della “bistecca d’oro” servita al calciatore Franck Ribery presso un locale di Doha. La sontuosa prelibatezza, oltre ad essere placcata in una lega preziosa, portava la firma di uno chef d’eccezione: il turco Salt Bae. Con simili presupposti vuoi che il costo del piatto non fosse smodato? Si parla di ben 2.400 dollari. Ma se pensate che Bae sia stato pioniere dell’oro servito in tavola è il caso che diate una sbirciata al passato. Un passato piuttosto remoto… L’impiego di questo metallo in cucina era molto diffuso nell’Antico Egitto, dove il pane veniva spesso guarnito con polvere d’oro. In Giappone era invece il sakè ad essere impreziosito con oro in fiocchi.

Nell’antica Roma

Nell’antica Roma, dove l’ostentazione dello sfarzo la faceva da maggiore, gli imperatori amavano degustare torte decorate con sottili foglie d’oro, con le quali ricoprivano l’intera superficie del dolce. Ciò soddisfaceva la loro vanagloria e gli consentiva di ribadire il proprio status. Tale usanza, nel Bel Paese, avrebbe retto fino ad oltre il 1300, tanto che il primo Duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, in occasione delle nozze della figlia Violante, commissionò centinaia di portate di selvaggina spolverata d’oro. Ma non fu quello il periodo più aureo, è il caso di dirlo, del metallo in questione, che sarebbe divenuto più gettonato che mai un paio di secoli più tardi: nella Padova del ‘500 la sua diffusione era così dilagante che vennero imposte delle misure restrittive per preservarne le riserve: alle cerimonie nuziali poteva essere servito un massimo di due portate decorate in oro.

L’origine dell’espressione “indorare la pillola”

Anche il sodalizio tra il fulgido metallo e Milano è epico: nel ‘500, i medici del capoluogo meneghino, aggiungevano dell’oro ai propri preparati per invogliare i pazienti a tracannarli, ed è in questa consuetudine che affonda le radici la dizione “indorare la pillola”. Il nobile metallo, a detta di molti, è perfino il padre del dolce italiano per eccellenza: il pandoro… Questa leccornìa sarebbe nata in occasione di un banchetto offerto da papa Sisto IV in onore del re di Napoli, Ferrante I di Aragona. L’allora pontefice ordinò che in tavola venissero serviti dei pani ricoperti di foglie d’oro, prototipi dell’attuale pandoro.

Fino ai giorni nostri

Ma veniamo ai giorni nostri: la moda di nobilitare le pietanze arricchendole di dispendiosi metalli ha cominciato, nell’era contemporanea, a fare tendenza nel 1981, quando Gualtiero Marchesi inventò il suo celebre “riso, oro e zafferano”. Poi arrivò lo “sgombro all’oro” di Paolo Lopriore, il “panettone Oro Puro” di Sal De Riso e il “Pane è Oro” di Massimo Bottura. Inutile a dirsi, il prezzo di questi intingoli è tutt’altro che economico.