“Non ti montare la testa” è un invito che chiunque si è trovato a rivolgere, o perché no a ricevere, almeno una volta nella vita. Ma a quanti è chiaro il vero significato di questa esortazione, pronunciata un po’ per gioco, che però dovrebbe davvero costituire un monito da non scordare mai? A pochi, tanto che Dacher Keltner, Professore di Psicologia dell’Università della California a Berkeley, si è occupato di indagare gli effetti del prestigio su chi ne viene investito. I risultati dei suoi esami risultano tutt’altro che confortanti… L’empatia sembra calare drasticamente in chi ricopre ruoli di autorevolezza, questo in conseguenza del fatto che in costoro l’attività della corteccia prefrontale si riduce, ovvero la porzione dell’encefalo che rende possibile il calarsi nei panni altrui.
Il “mirroring”
In chi esercita autorità verrebbe meno il cosiddetto “mirroring”, ovvero quel fenomeno che fa si che, durante le conversazioni, si rida alle battute dell’interlocutore e ci si intristisca ascoltando dei suoi drammi. Parliamo insomma di spirito di immedesimazione. D’altro canto il prestigio avrebbe effetti a dir poco benefici su chi ne sia distinto, al punto da immunizzarlo dallo stress. Nei soggetti influenti si sono infatti riscontrati bassi livelli di cortisolo (ormone dello stress) e più alti livelli di testosterone. Per non parlare di tutto il resto: secondo un’indagine ad opera dell’Università della California a San Francisco le persone che ricoprono posizioni di potere avrebbero una più efficiente ossigenazione del sangue. Oltre a questo vivrebbero mediamente sei anni in più rispetto a chi versa in condizioni di povertà. Vi sono però circostanze in cui è il potere stesso a rendersi motivo di stress, ad esempio quando subentra il timore di perderlo.
Troppa empatia logora
A conti fatti pare sia il caso di confermare la credenza secondo la quale il prestigio renderebbe freddi e distaccati, ma forse non è proprio il caso di vederci un deterrente. L’empatia ha anch’essa i suoi risvolti negativi, ai quali val la pena di dare uno sguardo: un eccessivo sforzo emotivo dato dalla compenetrazione nelle emozioni altrui esporrebbe a rischio di “burnout dell’empatia”, fenomeno che si accompagna stanchezza fisica e mentale, isolamento sociale e perfino depressione. Sensibili sì, ma quanto basta.