Che gli umani apprendano più e meglio attraverso ambienti immersivi virtuali, rispetto a quanto fanno con le più tradizionali piattaforme, compresa l’esperienza 2D con il desktop di un computer, è un’evidenza. Fino a che punto la VR avvantaggi in termini di memorizzazione, è un quesito su cui hanno indagato e sperimentato i ricercatori della UMD, l’università del Maryland.
Il lab UMD, dedicato alla computer science e alle tecniche di apprendimento, ha condotto uno studio sperimentale con il metodo del “Teatro della Memoria”, una tecnica rinascimentale, di cui Giordano Bruno è stato il più celebre formalizzatore. I soggetti sottoposti all’esperimento hanno cioè localizzato fisicamente un ricordo, utilizzando un’ambientazione immaginaria e spaziale – un palazzo o una città. Questa ben nota mnemotecnica viene utilizzata da millenni ed è capace di sfruttare l’abilità del cervello umano di organizzare spazialmente pensieri e ricordi.
I ricercatori della UMD hanno comparato la capacità di richiamo mnemonico in soggetti che utilizzavano una VR tramite casco e in individui che si interfacciavano con schermi reali bidimensionali, muovendosi in 2D in un’identica ambientazione, tramite mouse. Risulta nell’ordine dell’8.8% il miglioramento qualitativo, a favore di chi ha utilizzato VR, in termini di accuratezza e velocità del richiamo mnestico.
Lo studio è una sperimentazione su popolazione controllata di 40 volontari, perlopiù privi di familiarità con l’esperienza VR. Sono stati costituiti due gruppi: quello che si interfacciava tramite schermi bidimensionali e quello che si muoveva nel medesimo ambiente, ma vissuto in 3D.
I soggetti venivano dunque fatti muovere in ambientazioni storico fantastiche, all’interno di un castello o tra i vicoli e le piazze di una città medievale. In questa scenografia, venivano mostrati volti di personaggi celeberrimi, che i soggetti erano in grado di memorizzare secondo le coordinate spaziali in cui le immagini si trovavano. Terminata la fase di localizzazione e memorizzazione, i ricercatori hanno imposto un momento di sospensione dell’esperienza, svuotando l’ambientazione, prima di reimporre il medesimo teatro, con finestre da riempire laddove si trovavano i volti da memorizzare.
La focalizzazione di chi esperiva il tutto in VR è risultata significativamente maggiore di chi si muoveva in 2D su desktop pc – si fiora il 9%. Il follow up ha indicato che la percezione corporea integrale è risultata lo strumento privilegiato per localizzare e fissare nella memoria il dato. Circa il 40% dei soggetti del gruppo VR ha conseguito un indice del 15% di memoria più accurata e completa, rispetto al gruppo di controllo 2D.
“È un risultato che apre le porte a una auspicabile rivoluzione dei protocolli educativi. L’insegnamento può virare verso un maggiore e più incisivo utilizzo di dispositivi immersivi” sostiene Amitabh Varshney, docente di computer science alla UMD. Varshney è a capo di molteplici esperimenti sul campo, che coinvolgono VR e AR (realtà aumentata) in prospettive educazionali e mediche, come l’utilizzo della realtà aumentata nella diagnostica e della realtà virtuale nell’addestramento alla tecniche chirurgiche.
“Come storicamente aveva intuito Mashall McLuhan, le moderne tecniche di gameing 3D e le esplorazioni di ambienti virtuali risultano molto più coinvolgenti e capaci di suscitare partecipazione attiva, rispetto all’esperienza televisiva o con schermi 2D. Il messaggio viene metabolizzato molto più intensamente. Lo dimostra l’evidenza statistica fornita dallo studio della UMD” osserva Warren Lacefield, docente di psicologia educativa presso l’università del Western Michigan.
Catherine Plaisant, ricercatrice e coautrice dello studio, desume che “viaggiare immersivamente all’interno di un palazzo della memoria, in quanto ambiente virtuale e direttamente esperibile, impegna la propriocezione corporea, la sensazione cinetica e l’accelerazione, come facoltà ulteriori capaci di collaborare alla memorizzazione dei dati e dei qualia esperienziali”.
Un’esperienza VR infinita, attraverso la stabilizzazione dei movimenti oculari saccadici
La stabilizzazione dell’esperienza in VR è tuttavia un problema, nell’impiego di massa delle tecnologie immersive. Mentre è accettabile camminare o correre in una VR a carattere di gaming, farlo del tutto liberamente e soprappensiero per memorizzare e imparare sembra attualmente una sfida assai difficoltosa da vincere. Ci si deve concretamente preoccupare di orientamento e stabilità, nausea e confusione, per adattarsi compiutamente all’ambiente virtuale.
Tuttavia la linea di sviluppo delle virtualità educative può contare su esempi virtuosi, come le piattaforme AR messe a punto da NIANTIC, l’azienda creatrice di Pokémon GO e di Ingress. In queste esperienze di gaming, viene stimolato un comportamento compulsivo che unisce entertainement e apprendimento accelerato.
Adobe e NVIDIA, in collaborazione con la Stony Brook University, hanno a questo proposito sviluppato una nuova e risolutiva modalità di fruizione della VR, che rende abili gli utenti ad aggirarsi liberamente nello spazio virtuale, evitando gli ostacoli e le dispercezioni e intensificando la partecipazione diretta, senza soffrire disturbo alcuno implicato dalle difficoltà di movimento in 3D. Si è arrivati alla stabilizzazione dell’esperienza VR, utilizzando il momento in cui si sbattono le palpebre e studiando i movimenti oculari saccadici, ovvero quando si è del tutto non vedenti senza accorgersene – è in quella finestra temporale che la VR compie impercettibili aggiustamenti, evitando di fare incappare l’utente in difficoltà di adattamento all’ambiente virtuale. Si tratta di una tecnologia VR fondamentale, che abbatte i disturbi di orientamento in spazi virtuali.
Un passo ulteriore verso la normalizzazione dell’esperienza VR e, quindi, verso l’utilizzo di metodi immersivi VR per l’apprendimento scolastico, tecnico ed esperienziale.
Maurizio Pasquetti
Docente eCampus