Sono ormai anni, se non decenni, che circola il luogo comune che studiare materie umanistiche non serva a niente. Sembrava, infatti, che chi non studiasse ingegneria o fisica non avesse chance nel mondo del lavoro. Eppure la realtà sta smascherando questa bufala: le competenze umanistiche e culturali di base, se usate consapevolmente e nel modo appropriato, sono fondamentali per qualsiasi lavoro del futuro.
«Spesso la gente ritiene che le scienze, le arti e le discipline umanistiche appartengano a compartimenti stagni che non comunicano tra loro. In realtà sono tutte espressioni somme della creatività umana e dobbiamo rompere le barriere che le separano», dice Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra. Questo cocktail di scienza e cultura, tecnica e umanesimo, poesia e management è quanto di più richiesto attualmente sul mercato, un insieme di skill perfetto e ricercato per posizioni da top manager.
Non è più un mistero, infatti, che essere flessibili sia ormai meglio che superspecializzati e spesso anche le attività extrascolastiche o extralavorative assumano il valore di punti a favore nel proprio curriculum. Bisogna quindi allontanarsi dalla fede cieca nel fatto che studi ingegneristici, informatici, fisici o chimici siano il miglior lasciapassare per il futuro, e invece cominciare a entrare nell’ottica che le competenze umanistiche, rielaborate in skill professionali, saranno sempre più fondamentali e avranno un mercato sempre più vasto.
Viene da sé che questa riconversione non sia semplice e che risieda in buona parte, se non esclusivamente, nell’individuo. Diventa quindi essenziale anche questa consapevolezza, nell’intraprendere percorsi umanistici. In ogni caso è ormai chiaro che il grande manager del domani (ma forse anche del passato) non è un ingegnere iperspecializzato, un nerd o uno smanettone, ma piuttosto un “manager ibrido”. Nel suo libro Effetto Medici, l’economista Frans Johansson lo descrive bene, facendo risalire il modello ideale nella famiglia Medici, che nella Firenze del XV secolo seppe infrangere il muro tra scienza e arte, creando nuovo punti (e spunti) di intersezione tra questi mondi apparentemente agli antipodi. Le migliori menti e i più grandi intelletti dell’epoca, radunati nella corte medicea, si contaminarono a vicenda e generarono capolavori artistici e innovazioni scientifiche incomparabili sia per qualità che per quantità.
Una tendenza, quella di cui parliamo, che emerge chiaramente come consolidata dalle analisi dell’Osservatorio ExpoTraining, che ogni anno mette a confronto le opinioni e le esperienze di circa cinquecento manager tra grandi, medie e piccole imprese, oltre a quelle di esperti di formazione e comunicazione. Se nel 2016, solo il 27% aveva indicato come “strategiche” le materie umanistiche per il lavoro del futuro, nel 2018 la percentuale era già cresciuta al 35%. Secondo ExpoTraining, sono diversi i motivi di questa crescente importanza, non ultima la capacità di produrre contenuti qualificanti ed adeguati ai nuovi e diversi media (web, social, e-commerce ecc.). Senza, tra l’altro, contare il turismo e tutte le attività connesse con l’arte e lo spettacolo; e il settore pubblico, da sempre ricettacolo di laureati in discipline letterarie.
Carlo Barberis, presidente di ExpoTraining, ha dichiarato: «Oggi la tecnologia avanza velocemente, e ormai non è un problema per nessuno realizzare un sito internet, aprire dei profili sui social o avviare un’attività di e-commerce. Quindi l’attenzione delle aziende, più che sulla forma, si sposta sempre più sul contenuto, sulla capacità di raccontare e di raccontarsi, di creare contenuti interessanti. Delle materie umanistiche sono inoltre apprezzate le capacità di sintesi e quella di mettere in collegamento tra loro fatti, suggestioni, idee».
Non stupisce quindi che il MIT, prestigiosissimo politecnico di Boston, abbia avuto bisogno di “assoldare” un’equipe di filosofi per introdurre delle categorie etiche per programmare i comportamenti delle automobili autoguidate. Anche le aziende italiane hanno spesso utilizzato laureati in filosofia per la gestione di archivi e la classificazione del sapere. Sempre più frequente anche l’impiego di psicologi per quanto riguarda i cookie nei motori di ricerca o di linguisti per le tecnologie di assistenza vocale. In poche parole, è evidente che per dare risposta alle sempre crescenti richieste di un mondo sempre in evoluzione, alle competenze specifiche e specialistiche venga preferita una base di preparazione culturale umanistica molto solida.
In conclusione, è vero che se si studia filosofia con lo scopo di diventare il massimo ricercatore mondiale su Socrate, diventa un po’ più difficile trovare un impiego remunerato con questa mansione, ma le materie umanistiche piegate e riconvertite ad un uso più aziendale e di mercato, possono dare gli stessi frutti, se non addirittura maggiori, degli studi scientifici o ultraspecialistici.