Di ricerche e studi su come cambierà il mondo del lavoro e quali saranno i profili più ricercati ce ne sono sempre di più, tutte a tentare di quantificare la necessità di figure nuove, indispensabili nel domani. Ciò che risulta comune a tutte queste analisi può mettere ben in guardia i ragazzi che si avvicinano alla scelta del corso di studi da intraprendere: le competenze di cui nessuno potrà più fare a meno saranno senz’altro quelle digitali, a prescindere dalla strada che si vorrà percorrere. Anche chi punta a ruoli considerati più tradizionali, infatti, dovrà fare i conti con tecnologia e informatica. Basti pensare alla medicina: un accordo tra la Humanitas University e il Politecnico di Milano del giugno scorso, per esempio, prevede la creazione della Medtech School per formare una nuova figura professionale “ibrida”, metà medico e metà ingegnere. Ma come si è detto, questo è solo un esempio: secondo l’Eurostat, solo nel 2018 il 16% dei dipendenti ha assistito a una vera e propria trasformazione del proprio ruolo, attraverso l’introduzione di apparecchiature elettroniche o nuovi software.
Riguardo l’aggiornare le proprie competenze in direzione del digitale, è già ben la metà degli europei ad assicurare di aver già dovuto provvedere a compiere questo passo. Sì, perché “competenze” è la parola chiave di questo cambiamento. Joelle Gallesi, sales e operation director di Hunters Group, assicura: «Qualsiasi azienda oggi cerca persone competenti nel digital». Ovviamente, ci sono ambiti in cui la richiesta è più forte, basti pensare al fintech e all’importanza che ha assunto, o al settore sanitario trasformato da un vero e proprio esercito di tecnici ed esperti di bioinformatica.
Il probema quindi, a quanto pare, non è la crescente fame di nuove figure, quanto piuttosto trovare il modo per saziarla. Infatti, se da un lato la domanda non manca di certo, dall’altro c’è una grave carenza nell’offerta. «C’è stata un’indubbia attività di digitalizzazione scolastica.», spiega Gallesi: «Ma siamo indietro». Questo tipo di competenze «si maturano “on Job”, nella pratica. I sistemi informatici sono molto fluidi e servono corsi dinamici». Ma non è tutto: «Sono cambiate anche le soft skill richieste. Prima si parlava di capacità di lavorare in team. Oggi c’è bisogno di un approccio di smart working. Di un pensiero veloce, laterale, nella soluzione dei problemi. Devono essere in grado di diventare autonome nel minor tempo possibile, in contesti che mutano continuamente. Fondamentale è diventata la capacità di adattamento, in un ambiente sempre più fluido».