La testa dura sembra essere un male dilagante. Dai dibattiti politici alle interazioni quotidiane, spesso si incontrano persone disposte a sostenere la loro posizione nonostante tutto e tutti. Basti pensare ai tanti che per quanto istruiti e ben intenzionati, nonostante prove schiaccianti del contrario, continuano a negare il cambiamento climatico o credono che i vaccini causino l’autismo. Ma cosa pensano gli altri di chi si rifiuta di cambiare idea? In che modo i leader, in particolare, vengono visti quando continuano a mantenere fermamente una posizione anche di fronte a evidenti prove che si sbaglino?
Se la coerenza è sicuramente una dote rassicurante e che ha un grande valore sia nella vita che nel lavoro, superato un certo limite diventa pura cocciutaggine, con il rischio di risultare ridicoli nel migliore dei casi, se non addirittura stupidi o testardi. Infatti, secondo una ricerca pubblicata su Harvard Business Review, un deciso mutamento di opinione rispetto a ciò che si affermava precedentemente verrà visto da chi legge o ascolta come un segno di intelligenza, di versatilità e di apertura mentale. Lo studio, effettuato su un vasto campione di imprenditori messi in competizione tra loro tramite un gioco, dimostra un dato di fatto semplice: tutti detestiamo cambiare idea e, soprattutto, renderlo pubblico.
«Abbiamo scoperto che gli imprenditori avevano una tendenza generale alla testardaggine: il 76% di questi si rifiutava di cambiare idea di fronte a prove contraddittorie. Sfortunatamente, questa tendenza si è rivelata controproducente per i loro interessi. Infatti, gli imprenditori che hanno cambiato idea durante i test avevano quasi sei volte più probabilità di avanzare alla fase finale della competizione».
Quindi cambiare idea spesso e mostrarlo ha solo lati positivi? Ovviamente no. Infatti, ulteriori ricerche suggeriscono che ci sono contesti in cui la testardaggine non è penalizzata. Ad esempio, in un altro studio in cui i partecipanti stavano valutando candidati per un lavoro, si concordava sul fatto che un candidato disposto a cambiare idea fosse l’ideale per un lavoro fondato sull’intelligenza (ad esempio, l’ingegneria), ma non fosse particolarmente adatto per lavori in cui era più importante ispirare fiducia (come il parlare in pubblico). Questi risultati fanno in parte luce sul perché a volte abbiamo opinioni incoerenti su coloro che cambiano idea, a volte denigrandoli per il loro equivoco e, a volte, applaudendoli per la loro ponderatezza. Il contesto è tutto.
La ricerca fornisce anche una guida a manager e leader che vogliano promuovere la ponderatezza nei dipendenti: dovrebbero prendere provvedimenti in modo da garantire che le persone possano cambiare idea senza perdere la faccia. I manager stessi dovrebbero provare a modellare la propria forma mentis in questo senso: in risposta a prove valide che la loro posizione iniziale era sbagliata, potrebbero manifestare un comportamento sensibile a nuovi dati o semplicemente dire, ad alta voce e chiaramente: «Ho sbagliato».
Nei test della ricerca, soltanto il 24% dei manager e degli imprenditori ha chiaramente ammesso di aver sbagliato. Ammetterlo con se stessi e con gli altri prevede una grande forza psicologica e caratteriale, che in pochi hanno. Chi non ci riesce teme spesso di sembrare incoerente, di risultare inaffidabile e di perdere la fiducia degli altri. Non è necessario però scegliere se risultare una persona intelligente o una su cui è possibile riporre fiducia: ammettendo in modo chiaro i propri errori e mostrando limpidamente i dati che hanno spinto al cambiamento della propria posizione, è possibile essere entrambe le cose.