“Chi va piano va sano e va lontano” recita un adagio popolare, ma chiunque desideri vivere a lungo farebbe meglio a non ispirarsi ad esso, almeno quando procede in sella alle proprie gambe: chi cammina a passo svelto vive ben quindici anni in più rispetto a chi passeggia con flemma e indolenza. Insomma, la caratteristica che è valsa ai milanesi la nomea di “popolo frettoloso e ansiogeno” sarebbe invero una virtù da prendere ad esempio.
L’indagine
A mettere in luce i benefici di un’esistenza “con “accelerata” è un’indagine ad opera dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sulla Salute del Leicester Biomedical Research Center, presso il quale sono stati analizzati i dati relativi a 500mila persone; è emerso che la salute premia soprattutto i camminatori più veloci – indipendentemente dal loro peso corporeo – con un divario di longevità tutt’altro che esiguo: l’aspettativa di vita di un rapido marciatore si aggira attorno agli 86 anni, contro i 64 di chi se la prende comoda. Per le donne il rapporto è rispettivamente di 87 contro 72 anni. Niente male! Ma cosa contribuisce a rendere la camminata veloce una panacea? Ha il potere di ridurre l’indice di massa corporea, con insospettati giovamenti appannaggio del corpo.
La chiosa dell’esperto
Il professor Tom Yates dell’Università di Leicester – principale autore dello studio – ha spiegato: “Le nostre scoperte suggeriscono come la forma fisica sia un indicatore migliore dell’aspettativa di vita rispetto all’indice di massa corporea e che incoraggiare le persone a camminare a passo spedito possa aggiungere degli anni alle loro vite”. Non è certo la prima volta che l’attività fisica si propone quale amica del benessere, ma è senz’altro la prima in cui il sovrappeso (o perfino l’obesità) non si rivela un ostacolo diretto per chi voglia raggiungere il traguardo di una lunga esistenza: adottando il passeggio dinamico quale abitudine, indipendentemente dalla propria condizione fisica, se ne ricaverebbe un utile di ben quindici anni di vita.
L’impatto del peso corporeo
Francesco Zaccardi – epidemiologo clinico presso il Licester Diabets Center e coautore dell’indagine – a tal proposito afferma: “Gli studi pubblicati finora hanno mostrato principalmente l’impatto del peso corporeo e della forma fisica sulla mortalità in termini di rischio relativo, ad esempio un aumento del 20% del rischio di morte per ogni 5 chilogrammi per metro quadrato di aumento, rispetto a un valore di riferimento di un BMI di 25 chilogrammi per metro quadrato”. Lo studio sembra insomma sfatare il mito di algoritmi quali: magrezza uguale longevità, benché ad ogni modo vi siano parecchie ragioni per perdere peso in caso di pinguedine patologica: auspicare ad un lunga vita è giusto, ma perché trascorrere il tempo conquistato a fronteggiare disturbi quali artrosi, malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, complicanze respiratorie, ictus, e problemi di fertilità?
Rischio anche di malattie oncologiche
Queste sono alcune delle patologie cui l’obesità espone. Anche il rischio di contrarre malattie oncologiche, nei soggetti in sovrappeso, è più elevato. Pertanto sì: camminate a passo svelto, ma non perdete di vista ciò che conta davvero. Estendere il proprio ciclo di vita è importante, ma lo è ancor di più la qualità di quest’ultimo.