Turni massacranti, niente risposo e paga misera; impatto ambientale e strategie di marketing. Ecco tutti i lati oscuri di Shein, noto marchio dell’ultra fast-fashion cinese, svelati da un documentario inglese.
Lavoratori ridotti in schiavitù
Le rivelazioni arrivano dal documentario Untold: Inside the Shein Machine della rete televisiva britannica Channel 4. Attraverso delle telecamere nascoste, il documentario ha dimostrato le condizioni drammatiche dei lavoratori, che sono praticamente ridotti in schiavitù.
Molti lavoratori non hanno uno stipendio fisso ma vengono pagati a cottimo. Per ogni capo cucito ricevono 0,27 yuan (circa 4 centesimi di euro). Anche i dipendenti percepiscono un salario da fame, guadagnando in media solo 4.000 yuan al mese (circa 550 euro) e sono costretti a produrre come minimo 500 capi al giorno. E per ogni errore commesso lo stipendio giornaliero viene ridotto anche fino a tre quarti.
La lista dei soprusi non finisce qui. Gli operai hanno turni di lavoro fino a 18 ore consecutive, hanno una sola giornata di riposo al mese e il loro stipendio viene trattenuto per il primo mese. I turni sono così massacranti che alcune operaie sono state viste lavarsi i capelli durante la pausa pranzo.
Dark pattern, micro-influencer e l’impatto ambientale
Il documentario non si è concentrato solo sul lato produttivo del brand, ma anche sui consumatori. Shein ha sviluppato con estrema precisione la sua app e il sito, nonché un algoritmo precisissimo. Uno scroll infinito colorato e coinvolgente con dei dark pattern, cioè tutte quelle tecniche di marketing studiate per indurre le persone a comprare d’impulso. Alcuni esempi sono sconti con un conto alla rovescia oppure la spedizione gratuita dopo aver raggiunto una certa spesa.
Un altro aspetto importante del cosmo di Shein è il rapporto tra brand e i micro-influencer, cioè gli utenti di TikTok con un pubblico ridotto che, invece di chiedere compensi, si accontentano di essere pagati in abiti gratuiti. Abiti che, ovviamente, hanno un costo irrisorio di produzione. Shein, così, l’anno scorso ha fatturato circa 16,5 miliardi di euro, spendendo quasi nulla in pubblicità.
Inutile dire che l’impatto ambientale causato dal fast-fashion è pesantissimo. Shein non è particolarmente trasparente in questo ambito ed è difficile calcolare il suo impatto, ma sappiamo che il 10% delle emissioni globali deriva da questa industria.
Basta pensare che il colosso cinese propone diecimila nuovi prodotti al giorno, una mole di capi nettamente maggiore rispetto a rivali come Zara e H&M. Capi che in moltissimi casi rimangono invenduti e finiscono in discarica invece di essere riciclati. Senza contare l’inquinamento, il consumo d’acqua e lo sversamento delle sostanze chimiche che derivano direttamente dalla produzione dei capi.
La risposta di Shein
A seguito del documentario, un portavoce di Shein ha dichiarato che l’azienda è “estremamente preoccupata” dall’inchiesta, e che i materiali mostrati “violerebbero il codice di condotta concordato da ogni dipendente di Shein”, specificando che il codice di condotta dei fornitori di Shein è “basato sulle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e su leggi e regolamenti locali, comprese le pratiche e le condizioni di lavoro” e che “qualsiasi non conformità a questo codice viene gestita rapidamente e porremo fine alle partnership che non soddisfano i nostri standard”.